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Orecchiette a Bari Vecchia, perché solo oggi?

Riflessioni sparse sulla città (e non solo) - 'Lo Spillo', rubrica a cura di Antonio Scotti

A pochi mesi dalle elezioni amministrative scoppia un caso che rappresenta tutte le contraddizioni tipiche di una città che alterna l’orgoglio per le proprie tradizioni (spesso deleterie) alla rivendicazione di una baresità dalle forme assai variopinte.

Il caso è questo: nei pressi del Castello Svevo, da diversi decenni, ogni mattina un gruppo di signore della Città vecchia apre le porte delle proprie abitazioni per esibire la loro arte pastaia: cavatelli ed orecchiette di ogni tipo vengono adagiate su alcuni telai per essere poi vendute a residenti e turisti provenienti da ogni dove. 

Il posto è talmente caratteristico che queste donne sono finite con il diventare delle vere e proprie icone: spot televisivi, campagne pubblicitarie, emittenti straniere che raccontano la città e non mancano di immortalare la storia di manicaretti nati per deliziare i palati nostrani. Ma non finisce qui: ogni qualvolta giungono autorità ed ospiti internazionali in molti si affrettano ad accompagnarli in questa zona della Città vecchia. Presidenti del Senato, commissari internazionali, deputati, sindaci vengono spesso invitati anche a provare  il colpo del coltello che permette ad un pezzettino di semola e acqua di trasformarsi nel maccherone più amato della Puglia (e non solo). 

Poi succede che un blitz della Polizia Municipale in un ristorante riveli la presenza di pasta proveniente dalle massaie di Bari Vecchia e che non possiede alcuna garanzia in ordine alla tracciabilità delle farine e alla loro  preparazione. Dubbie anche le condizioni di sicurezza igienica. Il risultato  è presto detto: pasta distrutta e dibattito aperto. 

Le domande si susseguono: perché ciò che un giorno rappresenta un vessillo identitario della città il giorno dopo si trasforma in qualcosa di abusivo? E’ giusto o no che le massaie del Borgo Antico producano alimenti per rimetterli in vendita senza versare un centesimo alle casse pubbliche, come fanno altri esercizi commerciali? E’ possibile mettere in regola questa attività? E poi: come mai ci si accorge di tutto questo solo oggi? Domande aperte a cui servirebbero delle risposte. Se arriveranno lo scopriremo strada facendo. Si parla di costituire una cooperativa che permetta alle massaie di condividere spazi, ingredienti e un metodo di vendita legale. Vedremo come finirà: per il momento rimane una questione che rivela quanto assai labile sia la coerenza di politici e autorità locali. Mettere un punto sulla vicenda sarebbe il modo migliore per chiudere una parentesi troppo contraddittoria per essere vera. 
 

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