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Cronaca

Clan e affiliazioni, oltre 100 arresti a Bari e in provincia: "Le famiglie dialogano con camorra e 'ndrangheta per lo spaccio"

In mattinata l'incontro al Comando provinciale dei carabinieri per spiegare quanto emerso dall'operazione 'Pandora'. Il procuratore nazionale antimafia: "Anche i clan che ritenevano autonomi sono legati alle grandi famiglie criminali"

E' un sistema di stretta collaborazione tra le famiglie criminali pugliesi - ma anche esterne al territorio regionale - quello emerso durante le indagini che hanno portato questa mattina all'esecuzione di 102 ordinanze di custodia cautelare, su 104 emesse dal Gip. 'Pandora', questo il nome dell'operazione, ha quindi scoperchiato dopo anni di intercettazioni (l'operazione è partita nel 2006) un vero sodalizio tra i clan criminali sul territorio, organizzato in particolare da tre famiglie attive nella provincia di Bari e nella Bat: i Mercante, i Diomede e i Capriati.

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"Collegamenti con 'ndrangheta e camorra"

Insomma, le famiglie dialogavano tra loro per gestire le piazze dei racket. E non solo: "Abbiamo scoperto - ha spiegato il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho - che soprattutto per quanto riguarda il mercato della droga, le famiglie erano in contatto con la 'ndrangheta calabrese e la camorra campana, con cui gestiva i traffici". Anche in Puglia, però, il dialogo era forte, soprattutto nelle carceri, dove gli affiliati hanno preso contatti con la Sacra corona unita leccese e con la Società foggiana.

A dimostrarlo anche le tante perquisizioni nelle abitazioni e nei locali di proprietà degli arrestati, in cui sono stati trovati quantitativi di sostanza stupefacente di vario tipo. Molti degli arrestati, in verità, erano già in carcere per altri reati, infatti circa 60 sono stati portati in carcere. Diverse le accuse contestate: si va dall'associazione a delinquere di stampo mafioso (il 416 bis) pluriaggravato, a rapina, furti, violazioni reiterate della sorveglianza speciale, ma anche attività 'lecite' come slot machine e gestione della security in locali. "Le indagini hanno seguito uno schema piramidale - ha spiegato il procuratore Nitti - Siamo partiti dai vertici delle associazioni mafiose per poi scendere verso gli affiliati, scoprendo poi come ciascuna famiglia aveva il possesso di una determinata città in accordo con le altre". Un dialogo nato per ostacolare la magistratura: in un'intercettazione il capoclan Giuseppe Mercante spiegava che "non ci doveva essere una guerra, per non fare il gioco della magistratura. Solo così si possono fare i soldi".

Le difficoltà delle indagini e il sistema di apparentamento

Un'indagine che si è protratta quindi nel tempo e ha permesso addirittura di ritornare su casi chiusi da decenni. "Fino al 2012 abbiamo persino potuto controllare la posta in uscita dal carcere - ha spiegato il procuratore Giuseppe Volpe - senza che nessuno se ne accorgesse, poi una decisione delle Sezioni unite ha imposto che le intercettazioni della corrispondenza fossero utilizzate solo in caso di sequestro. E così abbiamo agito". E proprio all'interno del carcere si è scoperto esistere un sistema di affiliazione profondo, con le figure di 'padrini' pronti a garantire per i propri 'figliocci'. Arrivando addirittura a strutturare un vero e proprio 'battesimo' per far entrare i futuri affiliati nel clan, che riconoscevano così di avere diritti e doveri da osservare. In primis, il rispetto assoluto per la famiglia e i suoi interessi.

L'incontro è servito anche a fare il punto sulla situazione della giustizia penale barese. "Operazioni come questa - ha spiegato il procuratore nazionale antimafia - mostrano quanto sia importante operare in maniera congiunta tra gli uffici romani della Giustizia e quelli baresi. E' assurdo che non ci sia una sede fisica fissa per la Procura barese, che non può così usufruire dell'immenso archivio digitale operativo dei Ros. Né noi possiamo essere aggiornati sulla situazione".

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