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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

M5S:"Fibronit, la morte viaggia sulle ali del vento e sulle zampe della cattiva politica"

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di BariToday
L'era dell'amianto finisce a metà degli anni ottanta, ma la città di Bari si accorge di avere un’immensa discarica di rifiuti di tale sostanza, solo dopo dieci anni. Il sito della morte prende il nome dall’azienda che per anni la ha prodotta: LA FIBRONIT. 
 
Nell'area in questione, chiamata la "zona rossa" e che abbraccia tre quartieri di Bari (Japigia, Madonnella e San Pasquale) e che ha il più elevato numero di casi di mesotelioma pleurico, sono stati costruiti, nei decenni, complessi edilizi residenziali, di una certa consistenza. Lì, col tempo, si sono trasferite intere famiglie, per realizzare il sogno della casa di proprietà. Per molte di loro però, quel sogno si è trasformato in un incubo di dolore. Nella stessa area peraltro sono stati allocati diversi istituti scolastici e persino una casa di riposo per anziani. Infine, nei pressi, ha preso sede il Campus universitario, che rende questa zona di Bari strategica per molti studenti fuori sede, che in essa trovano alloggio.
 
Sono passati venti anni da quando associazioni del territorio, la stampa e denunce provenienti da più parti, hanno acceso i riflettori sul sito inquinato. L'allora sindaco di Bari, Di Cagno Abbrescia, sottovalutò la gravità della vicenda e ci volle l'intervento della Provincia, con un dettagliato rapporto, col contributo del Ministero dell'Ambiente, per scoprire che la contaminazione dell'amianto, oltre ad essere presente in superficie, aveva avvelenato il sottosuolo, fino ai 5 metri. Da allora partirono una serie di azioni giudiziarie e amministrative. I protagonisti di questa vicenda furono Il Comune di Bari, la FIBRONIT e la Procura della Repubblica.
 
Si è così al 2003 e la giunta comunale, con a capo Di Cagno Abbrescia, decide, vista l'inadempienza della FIBRONIT, decide di sostituirsi a quest'ultima e delibera di eseguire i lavori previsti. Ma arriva una nuova doccia fredda, da parte della Procura della Repubblica: le soluzioni tecniche individuate dal Comune non appaiono utili, anzi potrebbero essere pericolosissime, perché le fibre minerali rilasciate dall’amianto, non trattate a dovere, risultano potenzialmente inalabili e, una volta nei polmoni, possono provocare danni estremamente gravi come l’asbestosi, il mesotelioma ed il tumore ai polmoni.

Parallelamente, però, i cittadini non restano alla finestra. Oltre alle associazioni, che per prime denunciarono la pericolosità del sito, nasce anche un “Comitato Cittadino Fibronit”, che ha come obiettivo la realizzazione, sul sito, di un parco, il “Parco della Rinascita”. Inoltre, la cittadinanza riesce ad ottenere la partecipazione, con propri esperti, ai tavoli tecnici. Eppure, malgrado questo fermento di vigile attivismo civico, c’è chi, in quell’epoca, pensa di poter costruire, sopra al sito mortale, alcuni palazzi. Ipotesi poi tramontata allorché si definisce la inedificabiltà dell’area.

Nel 2011, il sostituto procuratore Giovanni Benelli ha chiesto la chiusura della maxi-inchiesta con l'accusa di "Disastro doloso, omissione dolosa delle norme antinfortunistiche, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose" nei confronti dei 10 amministratori indagati e per gli ex manager Claudio Dal Pozzo e Giovanni Boccini. Accuse gravissime che certo non restituiscono la vita ai tanti morti per colpa della cupidigia, della indifferenza, della commistione di interessi tra potere politico e potere economico-finaziario. Ma non restituiscono nemmeno il giusto ai vivi, che ancor devono subire gli inganni della mala-amministrazione, aggiungendo così al danno anche la beffa.

Infatti, il 20 giugno 2013 il Comune di Bari ha pubblicato il bando di gara per la progettazione esecutiva e la realizzazione dei lavori relativi all'intervento di messa in sicurezza permanente del sito "FIBRONIT". Le operazioni di gara si sono concluse lo scorso 13 gennaio e l'importo stanziato, ammontante a circa 12 milioni di euro, è una somma messa a disposizione dalla Regione Puglia. Cioè, si badi bene: la bonifica sarà fatta con fondi della Regione Puglia, quindi soldi pubblici, cioè dei cittadini, mentre i privati se ne laveranno le mani, malgrado la responsabilità del disastro sia innanzitutto loro!

E non è finita qui: la giunta Emiliano, il 18 novembre 2013, delibera al n° 744 una integrazione molto discutibile al piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari del Comune di Bari. Con tale delibera il Comune "scambia", a pari costo, un'area posta all'interno del perimetro del sito inquinato FIBRONIT (l’area ex Bricorama, anch’essa da bonificare) – attualmente destinata a "verde di quartiere" di proprietà della Mediocredito Centrale S.p.a. – con un'altra di sua proprietà, tra via Demetrio Marin e via Turati. Fin qui, in questo scambio, tutto sembrerebbe normale. Eppure sorge spontanea la domanda: a quanto ammontano i costi di bonifica dei suoli ex Bricorama? A questa, segue un’altra domanda, altrettanto spontanea: come mai si permuta un suolo da bonificare, il cui valore è certamente assai basso, con un altro di proprietà pubblica, in zona di pregio?

Insomma, ancora una volta la mala-politica fa pagare il prezzo della sua incapacità e dei suoi opachi interessi ai cittadini, alle loro tasche, ai loro patrimoni, alla loro salute e al loro futuro. Adesso è arrivata l’ora di svegliarci tutti e di mandarla a casa.
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