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Cronaca

Gli affari della criminalità barese nel settore dei giochi: 36 arresti, così i clan controllavano videopoker e slot machine

Nel blitz di Finanza e Dda coinvolti affiliati dei clan Anemolo, Strisciuglio e Capriati. Centrale la figura di un imprenditore, che con l'appoggio dei clan avrebbe imposto a tabaccherie e sale giochi i propri apparecchi

Avrebbero controllato le attività di installazione e noleggio di videopoker e slot machine negli esercizi commerciali della città, imponendo agli esercenti le apparecchiature di un solo imprenditore, dal quale incassavano in cambio una 'percentuale'. Così gli esponenti di storici clan baresi - Anemolo, Strisciuglio, Capriati - avrebbero messo le mani sul settore dei giochi, ciascuno nel proprio territorio di influenza, non solo in città ma anche nel settore dei giochi. E' quanto emerso da un'indagine condotta dal Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata  (G.I.C.O.) della Guardia di Finanza di Bari, sotto la direzione  Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo, che oggi ha portato all'arresto di 36 persone: 27 in carcere e 9 agli arresti domiciliari.

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La figura dell'imprenditore

Tra gli arrestati, un ruolo determinante viene attribuito dagli investigatori all’imprenditore del settore del gioco Baldassare D'Ambrogio, detto “Dario”, nonché a diversi appartenenti a storiche organizzazioni criminali della città di Bari, quali gli Anemolo, gli Strisciuglio e i Capriati. In particolare, D'Ambrogio avrebbe trattato gli affari con i clan 'forte' della sua origine familiare: l'imprenditore è il nipote di Nicola D'Ambrogio, detto “Tro Tro”, considerato uno degli esponenti di maggiore rilievo degli Strisciuglio, già detenuto per altra causa, nonché destinatario del provvedimento restrittivo odierno.

La denuncia di un tabaccaio vessato e l'avvio delle indagini

L’indagine scaturisce da una coraggiosa denuncia per usura ed estorsione sporta da un piccolo imprenditore barese titolare di una rivendita di tabacchi, vessato dalle pressanti richieste, corredate da violente minacce, che gli sarebbero state rivolte dal D’Ambrogio, titolare di una società di noleggio di apparecchi da gioco e intrattenimento. Quest'ultimo, al quale il piccolo imprenditore in difficoltà economiche nella gestione della sua attività commerciale si era rivolto, avrebbe subordinato la concessione di un prestito in denaro a due condizioni tanto gravose quanto illecite: la corresponsione di interessi  usurari e l’installazione esclusiva delle sue slot machine presso la citata tabaccheria. Il focus investigativo avviato sull’attività di noleggio degli apparecchi da intrattenimento da parte del D’Ambrogio ha consentito di acclarare come il contesto denunciato dal tabaccaio non rappresentasse affatto un caso isolato.

Gli accordi con i clan per imporre il noleggio degli apparecchi

Le indagini, protrattesi per oltre due anni, hanno infatti permesso di disvelare - sottolineano gli investigatori - "un più ampio e diffuso sistema di malaffare, esistente nella città di Bari e nei paesi limitrofi, finalizzato all’imposizione del noleggio delle apparecchiature da intrattenimento delle società riconducibili al D’Ambrogio presso gli esercizi commerciali, realizzato anche mediante l’appoggio di esponenti di sodalizi criminali egemoni sui rispettivi territori di riferimento, i cui metodi mafiosi basati sulla forza di intimidazione neutralizzavano di fatto ogni tentativo degli imprenditori di sottrarsi al noleggio stesso e di rivolgersi ad altre imprese di settore". D’Ambrogio, secondo gli investigatori, grazie ai  rapporti di affari con vari esponenti del clan Anemolo, delle articolazioni del clan Strisciuglio facenti capo a Lorenzo Caldarola e a Vito Valentino e del clan Capriati, avrebbe acquisito "una posizione monopolistica nel settore, con l’estromissione forzosa della concorrenza". Secondo quanto emerso dalle indagini, gli emissari dei diversi gruppi criminali indicavano, ai titolari delle attività commerciali ubicate nei  territori su cui esercitavano la loro influenza, D'Ambrogio quale unico noleggiatore cui rivolgersi per l’installazione dei congegni da intrattenimento, facendo previamente rimuovere  eventuali apparecchi di altri imprenditori già presenti nell’esercizio ed impedendo così agli esercenti la libera scelta del fornitore cui rivolgersi in base alla convenienza economica e alle regole di mercato improntate alla libera concorrenza.

Gli incassi dei clan sulle apparecchiature installate

La provvigione corrisposta ai clan era parametrata al numero di slot machine che le organizzazioni riuscivano a far installare presso gli esercizi ubicati nelle zone di rispettiva influenza, ovvero agli introiti che ciascun esercizio commerciale otteneva dalle giocate effettuate sugli apparecchi noleggiati. Le indagini hanno evidenziato talvolta la riscossione di una somma di circa 100 euro per congegno installato, ovvero la corresponsione di una somma forfettaria mensile variabile tra 1000 e 5000 euro (in ragione ad esempio della qualità dei rapporti con il clan criminale di riferimento ovvero in base all’ubicazione dell’esercizio commerciale ove erano installati gli apparecchi); in altri casi la provvigione riconosciuta al clan era proporzionale al volume delle giocate al netto delle vincite pagate. Vincite del tutto esigue, tenuto conto che in diversi casi i congegni elettronici erano stati manomessi e scollegati dalla rete telematica di collegamento con l’Agenzia dei Monopoli, con evidenti riflessi negativi per l’Erario.

Le accuse di riciclaggio per gli Strisciuglio e usura

Le indagini avrebbero inoltre messo in luce come Dario D’Ambrogio avrebbe riciclato per conto dello zio "cospicue somme di denaro provenienti dalle attività illecite gestite dal clan Strisciuglio". In particolare, nel 2012, avrebbe acquistato le quote di due sale da gioco in Bari, sottoscrivendo con il venditore due contratti di compravendita delle relative quote sociali per un corrispettivo dichiarato di  50000 euro, che le indagini hanno tuttavia quantificato in oltre 430.000 euro, versati con cadenza mensile in quote frazionate di 22.500 euro. Le indagini avrebbero infine acclarato che l’attività usuraria condotta dal D’Ambrogio e da altri soggetti della criminalità locale (già gravati da precedenti penali della specie), nei confronti di piccoli imprenditori locali, per la maggior parte conduttori degli apparecchi da gioco, consentiva la corresponsione di tassi oscillanti tra il 125% ed il 2.000% annuo.

Il sequestro di beni per 7,5 milioni

In parallelo alle attività “classiche” di polizia giudiziaria, necessarie ad acquisire i riscontri finalizzati a corroborare il quadro accusatorio nei confronti degli indagati, sono state altresì condotte sofisticate investigazioni economico-finanziarie tese a ricostruire tutte le posizioni economico patrimoniali riferibili agli indagati e ad ulteriori soggetti che fungevano da prestanome per i negozi giuridici relativi ai beni da questi indirettamente posseduti. Ciò ha permesso di sottoporre a sequestro i beni risultati nella disponibilità degli indagati per un valore complessivo di oltre 7,5 milioni di euro, tra cui 3 sale “VLT” ubicate in Bari, 4 immobili, 5 veicoli, 2 complessi aziendali (un concessionaria di veicoli e una ditta individuale operante nel settore della riparazione di personal computer) e oltre 200 rapporti finanziari.

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