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Mercoledì, 31 Maggio 2023
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"Assisto persone disabili per conto del Comune, con pochi diritti e 8 euro a ora": il racconto di Claudia, operatrice di una cooperativa appaltatrice

Sono per lo più donne impegnate in casa di persone con disabilità o anziane che lavorano per società appaltatrici del servizio dell'ente, per ottenere uno stipendio degno si spostano ogni giorno tra più abitazioni senza nessun rimborso. Cobas: "Un servizio essenziale che va internalizzato"

Associarsi e confrontarsi non è facile per un lavoro che si svolge di fatto singolarmente, casa per casa. Così non è semplice far valere i propri diritti per una categoria di lavoratori, per lo più lavoratrici, fondamentale nella rete dei servizi sociali offerti dal Comune. Si tratta delle operatrici delle cooperative sociali che hanno in appalto i servizi domiciliari dell’ente per assistere persone anziane e disabili. Tra loro c’è Claudia (nome di fantasia per tutelarla), che ha 48 anni e da oltre dieci è impegnata in un lavoro fatto soprattutto di relazioni umane, competenza e fatica.

“Guadagno otto euro all’ora – racconta – perché posso usufruire di uno scatto di anzianità, altrimenti sarebbero stati sette. Vado a casa delle persone che assisto, in questo momento sono due per riuscire a raggiungere uno stipendio dignitoso. Il mio compito è alzarle dal letto, farle sedere sulla sedia a rotelle, garantire loro l’igiene personale e dell’ambiente in cui vivono, della loro stanza. È un lavoro faticoso, che spesso porta a problemi alla schiena e alle articolazioni, che non si riesce a fare oltre i 55 anni. Eppure non è riconosciuto il suo valore come dovrebbe, perché è sempre un gioco a ribasso. Le cooperative appaltatrici si susseguono di volta in volta e noi cambiamo datore di lavoro. Con alcune, fallite, avanziamo stipendi che non sappiamo se vedremo. Io dalla vecchia società devo avere ancora quasi 5 mila euro. Ma ci sono colleghe che attendono anche 10-15 mila euro”. Claudia descrive situazioni difficili, denunciate anche dal sindacato Cobas lavoro privato di Bari, nelle quali non sono previsti corsi di formazione e aggiornamenti se pur obbligatori, non ci sono rimborsi per le spese sostenute negli spostamenti, visto che le operatrici sono costrette a cambiare due o tre case in zone lontane tra loro della città, non ci sono i supporti e dispositivi adeguati.

“Mancano i sollevatori, il meccanismo per supportare la persona che deve essere alzata dal letto – spiega ancora Claudia -, non ci sono state fornite le mascherine Ffp2 richieste dalle famiglie, che abbiamo dovuto comprare noi, perché l’azienda ci dà solo le chirurgiche, non ci vengono riconosciute le ore di affiancamento. Nel senso che non ci vengono pagate, quando iniziamo ad assistere un nuovo utente e dobbiamo seguire le colleghe per alcune ore per apprendere quali sono le tecniche da adottare e le abitudini”. Claudia racconta anche di un lavoro ricco di soddisfazioni dovute dai rapporto umani che si instaurano, del contributo prezioso che viene fornito alle famiglie.

“I rapporti non sono sempre facili – aggiunge – ma a me è capitato quasi sempre di averne di buoni. Nasce la fiducia e il conforto con le persone con cui ci si rapporta. Diamo respiro per tre quattro ore alle persone che accudiscono i propri cari, che nei periodi della giornata in cui siamo noi possono staccarsi dall’assistenza e andare a fare servizi, riposare o altro. Ma possono esserci anche dei conflitti. Io, ad esempio, ho dei buoni rapporti e non mi viene chiesto che quanto mi competa, come l’igienizzazione delle stanze dove dormono le persone che seguo. Ma ci sono purtroppo casi di colleghe costrette dalle famiglie a pulire buona parte della casa, neanche fossero donne delle pulizie. E questo non è giusto”. Claudia, come il sindacato, denuncia quindi una serie di condizioni al ribasso, dovute a disponibilità economiche dei comuni e del Comune di Bari, in questo caso, che peggiorano le condizioni di lavoro. Per questo i Cobas hanno chiesto a più riprese incontri per discutere della situazione e spingono affinché si arrivi all’internalizzazione del servizio.

“La nota positiva – spiega ancora Claudia – è che con la nuova cooperativa gli stipendi sono per lo meno puntuali, in passato accumulavamo ritardi anche di quattro mesi. Ma manca tutto il resto. Con l’eccessiva burocratizzazione però veniamo sempre penalizzate noi, se per caso non ci sono comunicazioni ufficiali su cambi turni o  sostituzioni, rischiamo di perdere ore lavorate, mentre spesso le comunicazioni che riceviamo noi dall’azienda sono informali, su Whatsapp”. Per questo il sindacato e le lavoratrici chiedono un intervento dell’amministrazione comunale richiamandola alla propria responsabilità che va oltre l’assegnazione dell’appalto decisa in base a valutazioni sulla migliore offerta tecnica.

“Ritengo comunque inaccettabile – conclude Claudia - che questo servizio sia dato in appalto dal Comune, perché  riguarda un servizio essenziale per le famiglie che si è sempre più ridotto, o si riduce  volte per problemi legati alla stesso organizzazione delle cooperative appaltatrici. È un servizio fondamentale per il welfare di un comune, per le persone disabili e le loro famiglie, imprescindibile. E per questo deve essere svolto nel migliore dei modi”.

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