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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Infermiere Cavaliere della Repubblica per il lavoro contro il Covid. Fabio Specchia: "Dopo la sofferenza, vediamo la luce"

Il 40enne responsabile del team Covid del dipartimento di Prevenzione dell'Asl Bari, impegnato nell'hub vaccinale di Valenzano: "Il ricordo più duro è quando ho trovato nel cimitero i nomi delle persone che ho provato a curare"

La segnalazione di Fabio Specchia era arrivata al Quirinale dalla polizia ferroviaria. In piena emergenza Covid, gli agenti lo avevano visto operare tutti i giorni assieme a un collega per la misurazione della temperatura e l’operazione dei test ai passeggeri in arrivo dal Nord nella stazione di Bari. A ciò si è aggiunto il suo lavoro di volontario con lo Smom (Sovrano militare ordine di Malta). Tamponi e assistenza anche ai senzatetto, nell’area 51 del San Paolo e nel campo rom del rione Japigia. È arrivato così il riconoscimento di Cavaliere della Repubblica da parte del Capo dello Stato Sergio Mattarella per l’infermiere 40enne responsabile del team Covid del dipartimento di Prevenzione dell'Asl Bari, impegnato nell'hub vaccinale di Valenzano.

Ci racconti l’emozione quando ha ricevuto la chiamata dalla prefettura?

“È stata come una ricarica, un’energia che ripaga i tanti sacrifici vissuti nei mesi più acuti della pandemia, quelli cui ho costretto anche i miei affetti, alle tante ore di lavoro extra, fatte con passione e dedizione alla causa”.

Ha dichiarato che è un riconoscimento che condivide con tutta la squadra con cui lavora

“Certo. È di tutti. Lavoriamo in squadra in cinque. Ma dirò di più, è un riconoscimento per tutta la categoria degli infermieri, professionisti spesso lavoro sottostimati, che lavorano nell’ombra, assieme agli ultimi. È un orgoglio che condivido con loro”.

Oltre 10mila tamponi da lei effettuati durante la pandemia e 8mila vaccinazioni da dicembre a oggi, ma qual è stato il momento più difficile?

“Ce ne sono stati diversi, quando vedevamo le persone soffrire e noi provavamo a curarle con tutti i nostri mezzi, senza però riuscire a farle guarire. Sono stati momenti duri”.

C’è un caso che l’ha colpita maggiormente?

“Tanti, non uno in particolare. Il ricordo più duro, personale, è quando mi sono trovato a camminare nel cimitero e ho ritrovato diversi nomi sulle tombe di persone che ho provato a curare”.

È stato vicino ai senzatetto e alle persone che vivono nei campi rom. Quali sono state le difficoltà?

“Era un lavoro necessario, che andava fatto. Siamo andati dove altri non riuscivano ad arrivare. Ma anche lì abbiamo incontrato tanta umanità e anche collaborazione. Ricordo il lavoro egregio fatto col referente del campo rom, dove è stata organizzata un’area per la quarantena e l’isolamento dei casi positivi. Questo ha permesso di bloccare il diffondersi della pandemia”.

Calano contagi, morti e ricoveri. Come ce lo dobbiamo aspettare il futuro, come lo vede lei?

“La speranza è che, grazie ai vaccini, siamo davvero a una svolta. Attendo totalmente che la notte di questo periodo buio vada via e il sole finalmente esca e risorga completamente”.

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