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Michele Glorioso ha vinto la sua battaglia, l'operaio della Skf è stato reintegrato dal giudice: "La lotta paga"

Era stato licenziato perché avrebbe causato un danno all'azienda di componentistica per auto realizzando cuscinetti difettosi e facendo perdere una commessa. Il comitato contro i licenziamenti: "Era un capro espiatorio"

Michele Glorioso ha vinto la sua battaglia. L’operaio 36enne barese della Skf, azienda svedese del settore della componentistica meccanica dell’auto, era stato licenziato assieme a un collega.  Per la multinazionale non aveva osservato le “corrette” procedure di lavorazione. Aveva in sostanza prodotto dei cuscinetti difettosi che, una volta inviati al cliente, sono stati prima inavvertitamente montati e poi smontati perché non conformi. L’accusa della Skf era quella di aver perso una commessa da circa 300 mila euro per questo e che, quindi, andava licenziato. Dopo una serie di rinvii e discussioni, però, il giudice del lavoro di Bari ha deciso di reintegrare l’operaio, con effetto immediato. A ciò ha aggiunto anche il versamento dei mancati stipendi, dal momento del licenziamento a oggi.

È il comitato contro i licenziamenti di Bari, assieme a Rifondazione comunista, che hanno seguito fin dal principio la vicenda, a dare notizia della vittoria in giudizio. “La lotta paga”, scrivono Sabino De Razza e il segretario Francesco Loconte. Lo stesso comitato aveva lanciato una campagna social in solidarietà del giovane operaio, è stato sempre presente fuori dai cancelli del tribunale a ogni udienza e da tempo ha denunciato che, secondo la propria interpretazione, il licenziamento di Glorioso fosse stato discriminatorio. Nell’operaio l’azienda avrebbe  trovato un capro espiatorio, per celare le proprie mancanze, quando invece su quella linea lavoravano in sette. “Glorioso – ha spiegato De Razza – non ha rubato, non ha sabotato, non è stati negligente, ha continuato a lavorare in totale insicurezza sanitaria. È l’anello debole, di un modello aziendale di organizzazione produttiva, esclusivamente basato su orari e ritmi di sfruttamento del lavoro imposti nei reparti produttivi. Lui stesso aveva segnalato anomalie nel sistema di produzione, senza che la segnalazione fosse presa in considerazione”.

Il comitato contro i licenziamenti aggiunge anche altro. Il risultato – scrive - è certamente dovuto alla tenacia di Michele, che ha resistito ai molteplici tentativi dell’azienda di fargli ammettere una colpa che non aveva, ma anche alla realtà nata proprio con lo scopo di difendere Michele e di sensibilizzare lavoratori e lavoratrici di tutta la zona Industriale: il Comitato contro i licenziamenti, che riunisce associazioni, partiti, realtà plurali. La vicenda di Michele è la dimostrazione che la lotta paga, soltanto se si persegue, uniti, un obiettivo con ostinatezza e determinazione. L'esperienza del comitato non si ferma e vogliamo che sia da monito per i molti lavoratori e le molte lavoratrici, a partire dagli oltre 600 della Bosch, che rischiano il posto di lavoro”. È lì, nella fabbrica più importante della zona industriale di Bari che è aperto il fronte della vertenza più complicata del territorio, con oltre mille lavoratori in cassa integrazione e un futuro, che dovrebbe essere nella componentistica dei motori di nuova generazione e non più in quelli termodinamici, tutta da decifrare.

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