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Giovedì, 25 Aprile 2024
Attualità

Nel centro Caritas che a Bari accoglie i senza dimora: "Voci e storie che chiedono ascolto"

Il racconto di chi ogni giorno opera nel dormitorio 'Don Vito Diana'. Il direttore della Caritas diocesana Bari-Bitonto, don Lino Modesto: "Tutti parlano di poveri, ma dovremmo imparare ad ascoltare di più le loro istanze. L'anello debole? I giovani sempre più colpiti dalla povertà"

Nel cortile ci sono dei vestiti stesi ad asciugare. Al piano terra la grande palestra, lo spazio comune a disposizione di tutti gli ospiti. E' mattina e le porte sono spalancate per lasciare entrare sole e luce. Le pareti della sala, in questo momento, sono in parte occupate: ci sono i nuovi armadietti, arrivati da poco e pronti per essere sistemati nelle sei stanze al primo piano, quelle destinate ai 24 ospiti che trovano rifugio nel dormitorio. A guardarla da fuori, questa palazzina dai colori chiari, tra via Napoli e corso della Carboneria, sede del centro di accoglienza Caritas per senza fissa dimora 'Don Vito Diana', sembra quasi un edificio come tanti. Non si ha idea delle vite, delle storie che invece qui si incrociano ogni giorno. Le storie di chi si trova a essere l'"anello debole" della società, a non avere neppure un tetto sulla testa, a vivere quelle condizioni di fragilità e marginalità in cui rischia di rimanere per sempre.

Gli 'anelli deboli' e l'ombra della povertà anche sui giovani

"Sui poveri tanti parlano, ma nessuno dà la parola ai poveri", dice don Lino Modesto, direttore della Caritas diocesana di Bari-Bitonto: a settembre scorso ha raccolto il testimone passato da don Vito Piccinonna. E' lui ad accoglierci nel centro di via Curzio dei Mille, insieme ad Alessandra e Michele, rispettivamente responsabile e operatore della struttura, gestita per conto della Caritas dalla 'Fondazione Opera Santi Medici', e inserita, tramite una convenzione, nella rete dell'assessorato al Welfare del Comune di Bari. "Spesso il rischio - spiega don Lino - è di passare sulla testa delle persone, di essere poco attenti alle vere istanze dei poveri. Forse questo è il punto su cui tutti noi, come società civile, come Chiesa, come istituzioni, dovremmo riflettere. Abbiamo bisogno di tornare a dare voce alle storie, alle persone, alle relazioni, talvolta anche faticose, che si instaurano con chi vive dei disagi". E tra quei poveri, sempre più spesso, ci sono anche persone giovani, come emerge dall'ultimo rapporto Caritas su povertà ed esclusione sociale in Italia, 'L'anello debole', presentato nei giorni scorsi. I dati raccolti attraverso la rete dei centri Caritas sul territorio nazionale (riferiti al 2021) mettono in evidenza come - sottolinea don Lino - uno degli "anelli  deboli" sia rappresentato dai giovani, sui quali sempre più spesso "si allunga l'ombra della povertà". Così come si conferma, soprattutto al Sud, la stretta correlazione tra stato di deprivazione e bassi livelli di istruzione. "Noi come Caritas - spiega don Lino - indubbiamente abbiamo da offrire delle risposte immediate, ma non basta. L'obiettivo della Caritas è anche quello di trovare vie, strumenti, di mettere in atto una strategia di lungo periodo perché ci sia un vero e proprio contrasto alla povertà, affinché essa sia superata. Perché il rischio è che la povertà si cronicizzi, non solo a livello sociale, ma anche psicologico, cioè che una persona perda la voglia del riscatto, che si senta condannata a essere povera a vita". E in questa strategia per sconfiggere la povertà rientra il nuovo progetto di 'microcredito imprenditoriale' che la Diocesi di Bari-Bitonto sta mettendo a punto, e che sarà presentato nelle prossime settimane. L'idea è quella di costituire un fondo, e, attraverso un istituto bancario, dare la possibilità, a chi voglia avviare una nuova impresa o attività commerciale, di ottenere un sostegno economico, restituendo poi la somma a tassi agevolati, in modo da poter destinare quel denaro a nuovi beneficiari, innescando così un meccanismo virtuoso. "Perché il lavoro è la chiave di volta", dice don Lino, che cita le parole di Papa Francesco: "Non c'è speranza sociale senza un lavoro dignitoso per tutti".

Michele e Alessandra

Italiani e stranieri, le storie di chi vive ai margini: chi sono i senza dimora

Il dormitorio 'Don Vito Diana', nella sua attuale sede (attiva dal 2017, quando è avvenuto il trasferimento dalla vecchia struttura nei pressi del sottopasso Duca degli Abruzzi) conta 24 posti letto, destinati a uomini adulti, sia italiani e stranieri, ospitati per un periodo massimo di nove mesi. "I più giovani sono soprattutto stranieri. Arrivano in prevalenza dall'Africa, e quasi tutti sono a Bari di passaggio, in attesa dei documenti per potersi spostare altrove. Nel frattempo lavorano, in genere in campagna, vanno via all'alba e tornano la sera. Insieme a loro, spesso viviamo le difficoltà di districarsi tra iter e richieste burocratiche. Quasi sempre, hanno famiglie da mantenere nel Paese da cui sono partiti, e una grande forza di volontà", racconta Alessandra Pupillo. Da nove anni è responsabile del centro, e insieme a due operatori, oltre a una rete di volontari e giovani del Servizio civile, si occupa di offrire assistenza a chi varca la soglia del dormitorio. Tra gli ospiti, però, non ci sono solo gli stranieri. Ci sono anche gli italiani, i baresi. Quasi sempre "più anziani" (ma non solo), spesso separati, talvolta "allontanati dalle famiglie" o comunque soli. C'è chi ha perso il lavoro, chi magari nasconde problemi legati a dipendenze. Ma c'è anche chi è arrivato nel centro dopo il periodo Covid, trascinato dalla crisi e da quelle conseguenze psicologiche della pandemia stessa che lo hanno spinto alla deriva, anche a dispetto della giovane età e di un livello di istruzione elevato. "Tutti hanno alle spalle situazioni non facili, e gestirle non è semplice. Grazie anche al supporto della Fondazione - prosegue ancora Pupillo - noi cerchiamo di dare tutto il supporto possibile, sempre con un obiettivo: mettere al centro la persona e la sua dignità. Ad esempio, offriamo servizi che vanno oltre quelli previsti per un dormitorio: abbiamo un servizio di lavanderia, un guardaroba solidale, nei giorni di festa ci sono parrocchie che vengono a offrire il pranzo, o la cena". Ma al di là dell'accoglienza e dei servizi che il centro può offrire, resta il tema dell'uscita dalla condizione di senza dimora, che nella gran parte dei casi si rivela tutt'altro che facile. "Perché se non si riesce ad uscirne entro il primo anno in cui la si vive, probabilmente non si riuscirà più a farlo", dice Alessandra. "L'unico strumento per uscirne è il lavoro, corsi di formazione per dare la possibilità di acquisire competenze, e questo è un aspetto che purtroppo manca. Ma ci vorrebbe anche un supporto psicologico costante, quotidiano. Noi come Caritas abbiamo sempre pensato a questo come un luogo di passaggio, temporaneo, che deve servire come trampolino per riprendersi la vita in mano. Ma non è semplice, perché tanto incide anche la fragilità psicologica: è come se si entrasse in un tunnel, lasciandosi sempre più andare".

Da ospite a operatore del centro: la storia di Michele 

"Uscirne non è facile, in pochi ce la fanno". E Michele è uno di quelli che ce l'hanno fatta. Lui che oggi accoglie e assiste come operatore i senza dimora del centro 'Don Vito Diana', in passato ne è stato ospite. La sua è una storia bella, di volontà e di riscatto, di sostegno ricevuto e donato. La storia di un ragazzo che a 22 anni, rimasto senza un tetto sulla testa dopo varie viccissitudini, si presenta al dormitorio per chiedere aiuto. "Era gennaio del 2014. Avevo già passato parecchie notti per strada, inizialmente dormivo in stazione. Chiedevo aiuto alle istituzioni, ma non avevo risposte, nessuno mi dava indicazioni", racconta. "Quando mi presentai nel dormitorio, un volontario mi guardò e mi disse: ma è per te il posto? Non gli sembrava possibile. Il giorno dopo conobbi don Vito Piccinonna, che mi disse: tu qui non ci devi stare, dobbiamo trovare una soluzione per te. Non avevo nulla al mondo, solo la mia ragazza, che oggi è mia moglie. Mangiavo poco, mi vergognavo di andare nelle mense. Quando entri in questo vortice, non fai altro che scendere: più volte ho pensato di non voler più andare avanti". Michele però, aiutato, riesce a trovare un primo lavoro, mentre arriva la notizia che cambia tutto: la sua ragazza è incinta. "Lì c'è stata la mia svolta, la gravidanza di mia moglie ha scatenato dentro di me qualcosa che non so descrivere, mi ha dato nuove energie. Quella stessa settimana ho trovato un altro lavoro, a ottobre abbiamo preso casa, a dicembre ci siamo sposati. A gennaio è nata la nostra bambina: abbiamo deciso di chiamarla Alba". Poco dopo, Michele ha nuovamente incrociato sulla sua strada il centro 'Don Vito Diana': "Ho avuto la possibilità di tornarci, facendo il Servizio civile. E' stato un anno bellissimo, che mi ha regalato più di quanto potessi immaginare". Oggi Michele ha tre figli, è un operatore del dormitorio 'Don Vito Diana' e sta per realizzare un obiettivo che inseguiva da tempo: conseguire la qualifica di Oss. "Mi piace stare sul campo, stare in mezzo agli utenti. E' vero non è facile, ci sono stati periodi più complicati, come quello del lockdown, ma quello che noi operatori facciamo non lo facciamo come lavoro, la nostra è una vocazione. Spesso racconto agli ospiti la mia esperienza, per cercare di spronarli. Nella mia vita tutto è cambiato, ed è per questo che ne parlo a loro, perché spero che la mia storia possa essere d'aiuto".

Nel centro 'Don Vito Diana' c'è continua necessità di kit e prodotti per l'igiene personale che vengono costantemente distribuiti agli ospiti. Chi volesse contribuire donando questi articoli può contattare il numero 370/1422428.

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