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"Io, bergamasco in fin di vita per il Covid, salvato dal Policlinico allo scoppio della pandemia: con una focaccia capii di essere in Puglia"

Gianpietro Signori, 58 anni di Cene, fu trasportato d'urgenza con un volo militare dall'ospedale di Seriate a Bari, con la Bergamasca travolta dalla prima ondata del virus: "Ringrazio ancora tutti"

Nell’ospedale di Seriate dov’era ricoverato dai primi di marzo il personale non riusciva più a reggere l’urto della prima grande ondata del virus che in quei giorni aveva travolto Bergamo e i suoi dintorni. Così, assieme a un altro paziente in lotta per sopravvivere all’infezione da Covid, Gianpietro Signori, allora 56enne di Cene, il 3 aprile del 2020 nel pieno dell’esplosione della pandemia fu trasferito con un volo militare dalla Lombardia a Bari per essere curato nel padiglione Asclepios riconvertito per l’emergenza dal Policlinico. Dopo un mese durissimo per le sue condizioni complicate e gravi, col ricorso anche all’intubazione, l’uomo fu dimesso il 3 maggio dalla struttura ospedaliera pugliese e con un’ambulanza tornò dai suoi cari.

Sono passati due anni da quei giorni terribili, come sta ora?

“Sono contento di essere vivo, di aver riabbracciato mio figlio Massimiliano e gli altri miei cari. Avverto però ancora i postumi del Covid. Non respiro perfettamente, soprattutto di notte. Il pneumologo mi ha già anticipato che avrò bisogno di una maschera Cpap nasale per supportare la respirazione durante il sonno. Avverto ancora stanchezza, perdita di memoria e problemi nell’urinare. Il virus è davvero una brutta bestia”.

Cosa ricorda di quei giorni, del ricovero e del trasferimento a Bari?

“Ero in ospedale dai primi di marzo, sempre con l’ossigeno. I medici mi hanno applicato la Cpap ma poi nella terapia intensiva decisero di intubarmi. Io ero contrario, ma hanno convinto mio figlio a farlo, stavo peggiorando ed ero in fin di vita. Dall’ospedale mi fecero sparire tutto, telefono, orologio, soldi. Non è stata una bella esperienza. Quando ero in fin di vita, ma questo mi è stato più che altro raccontato, decisero di trasferirmi a Bari. Di quei momenti ricordo gli incubi, quello di incontrare persone che ho identificato nel sogno come napoletane che mi costringevano a seguirle fin giù. Io avevo dolore alle gambe, perché avevo una spada conficcata. Ho sognato che l’intero reparto di terapia intensiva prendesse il volo come un’enorme navicella spaziale per essere poi scaraventati in mare. Credo di aver avuto allucinazioni premorte”.

Ma poi, per fortuna, ci fu il risveglio. Ce lo racconti.

“Guardando per la prima volta dalla finestra pensavo di essere in un vecchio quartiere di case popolari di un paesino del bergamasco. I medici e il personale mi dissero che ero invece a Bari. Rispondevo solo: ma cosa diavolo state dicendo?! Non ci credevo. Dicevo io sono qui a Bergamo, chiamo mio figlio che ora mi viene a prendere, ora mi dimettete e mi porta a casa. Avevo perso 26 chili. Provarono a farmi mangiare ma rifiutavo le minestre dell’ospedale, delle brodaglie immangiabili, dicevo che fossero avvelenate. Poi, un dottore, che ringrazierò sempre per la sua gentilezza, mi passò una porzione di ciò che stava mangiando lui e cambiò tutto”.

Cosa le offrì?

“Quella schiacciata o pizza che voi chiamate focaccia: buonissima. Spettacolare. Poi anche una frittatina, degli spaghetti al sugo di pomodoro, pane caldo. Questo sì che è mangiare dissi. Di lì mi fecero contattare mio figlio, in videochiamata, e cominciai davvero a convincermi di essere a Bari, fino alle dimissioni, il 3 maggio. Il medico volle che fossi trasportato in ambulanza e così fu, arrivai a casa alle 8 di sera dopo esser partito alle 9 del mattino dal Policlinico di Bari”.

Immaginiamo abbia ringraziato i medici e il personale del Policlinico per averla curata.

“Fu il medico a chiamarmi dopo una ventina di giorni per sapere come stessi. Davvero gentili tutti. Li ringrazierò per sempre. In questo tempo ho provato anche a contattarli ma non sono riuscito. Devo loro la vita. Mi aspirarono i muchi dai polmoni con una cannula, erano intasati, ero a un passo dalla morte. Quando mi hanno salutato mi sfottevano, dicevano che fossi della Lega, ma non è così. Bari mi è rimasta nel cuore”.

Ci è tornato per rivederla?

“Non ancora. Ma lo farò. Un vicino di casa qui a Cene è di Bari. Abbiamo già concordato che non appena sarà possibile verremo assieme, magari anche con mio figlio, per conoscere bene la città e ringraziare di persona tutti quelli che mi hanno salvato la vita. Grazie ancora”.

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