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Minacciate da reti, ami e rifiuti: "Così salviamo le tartarughe marine"

L'impegno del centro di recupero Wwf di Molfetta e le attività della 'Sea Turtle Clinic' del dipartimento di Veterinaria per salvaguardare una specie a rischio estinzione. Le parole d'ordine? Sensibilizzazione e ricerca

Petrolina è una delle ultime arrivate nella 'Sea Turtle Clinic' del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell'Uniba. Recuperata nelle acque al largo di Giovinazzo a inizio luglio, questa piccola tartaruga Caretta Caretta era rimasta impigliata da giorni in un sacco di nylon dal quale non riusciva a divincolarsi, tanto da aver perso, nel tentativo di liberarsi, una pinna posteriore. Così, dopo essere stata affidata ai volontari del Centro recupero tartarughe marine Wwf di Molfetta, è approdata nella struttura di Valenzano. Una vera e propria clinica per le tartarughe marine, un centro di eccellenza specializzato, punto di riferimento per la cura degli esemplari non soltanto in Puglia.

Tartarughe da salvare: i danni provocati da plastiche e ami 

Quella di Petrolina è una storia che ben rappresenta quali possano essere le conseguenze dell'inquinamento e della presenza di plastiche in mare per questa specie a rischio estinzione. E casi come il suo, pur non essendo la maggioranza, sono purtroppo in costante aumento. A spiegarlo è il professor Antonio Di Bello, direttore della 'Sea Turtle Clinic' del Campus di Veterinaria, da oltre 15 anni impegnato nello studio e nella salvaguardia delle tartarughe marine: "Ultimamente - conferma Di Bello - registriamo un aumento dei casi di 'entanglement', provocati cioè dalla costrizione di corpi estranei. Si tratta purtroppo di un problema sempre più diffuso, legato alla presenza dei rifiuti in mare, come le 'ghost net', le reti abbandonate dai pescatori alla deriva, o gli agglomerati di plastiche in cui le tartarughe restano impigliate". E nel tentativo spesso inutile di divincolarsi gli animali si provocano ferite le cui conseguenze possono essere molto gravi, come per Petrolina, che a causa delle lesioni riportate rischia anche l'amputazione dell'altra pinna posteriore. "Stiamo studiando con molta attenzione la possibilità di recuperare la funzionalità delle pinne in caso di costrizione", spiega Di Bello. Parallelamente alle cure prestate agli animali, infatti, nella clinica si sviluppano studi e ricerche sui metodi e le tipologie d'intervento. "Basti pensare - prosegue il professore - proprio alle tecniche chirurgiche di accesso per asportare ami e lenze da parti difficili dell'apparato digerente: sono proprio state il frutto di studi fatti presso il nostro dipartimento. Adesso stiamo studiando anche metodologie più innovative e rapide per le anestesie". 

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La pesca a strascico e i rischi per le tartarughe

Nel nostro Adriatico, tuttavia, i pericoli per le tartarughe sono legati soprattutto ad un'altra attività dell'uomo: la pesca a strascico. Spesso gli esemplari finiscono accidentalmente nelle reti, con gravi rischi per la loro sopravvivenza. Non a caso, è proprio in concomitanza con il periodo in cui questa pesca viene praticata - da settembre fino ad aprile - che il numero di tartarughe recuperate e soccorse cresce esponenzialmente. I rischi, per un esemplare finito nelle reti, sono di due tipi, come spiega Pasquale Salvemini, responsabile del Centro di recupero tartarughe marine Wwf di Molfetta: "Il primo è l'annegamento: intrappolata, la tartaruga non riesce a tornare in superficie per respirare, e comincia a bere acqua. L'altra patologia, scoperta più di recente, è l'embolia, la stessa che può colpire i sub, e che può verificarsi nel momento in cui la tartaruga, bloccata nella rete, viene tirata su molto velocemente. E' un fenomeno su cui da circa due anni ci sono attività di ricerca in corso". 

L'impegno del Centro WWF di Molfetta: sensibilizzazione e collaborazione con i pescatori

Proprio per questo, per i centri impegnati nella salvaguardia delle tartarughe marine, di fondamentale importanza diventa il coinvolgimento delle marinerie. "In questi anni - spiega Salvemini - abbiamo creato una collaborazione con i pescatori: all'inizio ci guardavano con diffidenza, ma siamo riusciti a spiegare che il nostro intervento non ha come obiettivo quello di colpire la pesca a strascico, ma quello di salvaguardare la specie e fare ricerca". Una 'rete' di collaborazione che sta funzionando: nei periodi di maggiore attività delle imbarcazioni, le tartarughe recuperate dal centro di Molfetta possono diventare anche 20-25 al giorno, in un territorio che va dalla provincia Bat fino al Brindisino. Non c'è solo la pesca professionale, però. Perchè a comportare potenziali rischi per le tartarughe marine sono anche le attività di pescatori hobbisti e diportisti: ferite e danni provocati da lenze e ami, lesioni del carapace o traumi causati dall'impatto con un'elica. In questo caso, purtroppo, individuare i soggetti a cui rivolgere le attività di sensibilizzazione diventa inevitabilmente più difficile.

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Dalle cure al ritorno in mare

Una volta prese in carico dai volontari del centro Wwf, le tartarughe vengono portate nella struttura di Valenzano. "Tutti gli esemplari vengono sottoposti ad uno screening: facciamo analisi di routine e analisi sangue, e se necessario, in base alle loro condizioni, eventuali indagini più approfondite", spiega Stefano Ciccarelli, dottorando di ricerca presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria impegnato nelle attività del 'Sea Turtle Hospital'. Gli animali bisognosi di interventi e cure particolari restano nella clinica, gli altri invece - a seconda della loro condizione - possono essere trasferiti nel centro di Molfetta per un periodo di degenza, o subito liberati in mare. "Il nostro principale obiettivo - conclude Ciccarelli - resta quello: arrivare nel più breve tempo possibile ad una diagnosi e procedere con le cure, per fare in modo che le tartarughe possano tornare al più presto in mare".

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