Un anno di Covid, Caritas: "Ora il cibo non basta, c'è bisogno di aiuto psicologico e lavoro, chi ha di più dia di più"
Don Vito Piccinonna è parroco della chiesa Santi Medici e direttore della Caritas diocesana di Bari. Un ruolo di prima linea nella lotta alla povertà: "È ora di mettersi a disposizione del prossimo"
“È il momento in cui chi ha di più dia di più per il prossimo, le 50 parrocchie della città e le 126 della diocesi sono a disposizione”.
Don Vito Piccinonna è parroco della chiesa Santi Medici e presidente della fondazione Opera Santissimi medici di Bitonto. Ed è direttore responsabile dell’ufficio della Caritas diocesana di Bari e Bitonto. Un ruolo di prima linea nella lotta alla povertà acuita dall’emergenza Covid che lo porta a rivolgere un appello a tutta la comunità del territorio.
A un anno dallo scoppio della pandemia com’è cambiata la vostra opera?
“È cambiata innanzitutto la modalità con la quale volontari e operatori distribuiscono i pasti delle 14 mense Caritas del territorio. Si consegnano dei sacchi col cibo chiuso, non si accede più alla mensa come prima. Manca quindi quella vicinanza e quel contatto umano vissuto in mense anche per cento persone, come quella delle sorelle di Madre Teresa, aperta per cinque giorni. Ma non manca l’ascolto, con la messa a disposizione di numeri di telefono attraverso i quali prendere appuntamento nei nostri centri territoriali, e la speranza”.
Quale?
“Quella che le persone non abbiano più bisogno del nostro pane, la nostra è comunque una risposta a chi chiede aiuto, ma noi vorremmo che non ce ne fosse bisogno”.
Chi vi chiede oggi aiuto?
“In un anno le perone sono aumentate ed è aumentata soprattutto la tipologia. Sono entrate in crisi le famiglie monogenitoriali, con figli a carico, specie se con disabilità. In questi giorni ho ascoltato il bisogno di una madre sola che ha da accudire un figlio autistico per il quale non c’è ancora però una diagnosi certa, mentre lei nel frattempo ha perso il lavoro. Si sono poi aggiunte le persone che hanno perso il reddito. La crisi ha peggiorato la condizione dei più fragili, la comunità deve riscoprirsi tale e dare delle risposte a questo”.
In che modo?
“Non escludendo nessuno. L’aiuto e la speranza devono comprendere tutti, l’attenzione alle persone più fragili è l’attenzione per tutta la città, prendersi cura di loro vuol dire prendersi cura di tutti. È dai più fragili che bisogna ripartire, questo dovrebbe insegnarci il periodo che viviamo”.
Cosa avvertite tra le gente che bussa alle vostre porte?
“Attraverso i centri di ascolto registriamo soprattutto paura. A prevalere è l’incertezza di vivere e a noi tocca affrontare il compito di accompagnamento nel cercare risposte. Spesso va indicata la strada del come chiedere aiuto e a chi. Poi, come Caritas poniamo attenzione anche alla dimensione della povertà educativa, in un momento in cui i nuclei familiari sono deprivati oltre che di beni materiali anche degli strumenti per dare punti di riferimento educativi. Quando finirà la cassa integrazione però vedremo davvero gli effetti della crisi e se le aziende che hanno garantito lavoro saranno disposte ad accogliere i lavoratori”.
La pandemia dovrebbe indicarci un cambio di rotta, quindi
“Nei primi mesi la sensazione era che si trattasse di un incidente di percorso, che si sarebbe tutto risolto in breve tempo. C’’era speranza. Ora quella speranza si è rarefatta e predomina l’incertezza. Questa condizione genera interrogativi e a dover essere curato, soprattutto nei più giovani, è l’aspetto psicologico rispetto agli inizi in cui prevaleva quello sanitario. Si vive di incertezza a piene mani, ai giovani sembrano negati futuro e sogni, sono tra i più penalizzati, per questo c’è bisogno da parte della politica e delle classi dirigenti di risposte lungimiranti, non corte, di provvedimenti strutturali non di cerotti per far fronte alle ferite del momento. Quelli non bastano più”.
Cosa servirebbe?
“C’è bisogno che la comunità esprima il meglio di se stessa a fronte di tanti individualismi esistenti, che ritrovi la dimensione comunitaria allargata, in cui si pensa e si progetta senza dimenticare le persone esistenti all’interno della comunità stessa, persone n care ossa, volti concreti: fragili, disabili, famiglie in difficoltà. Pensiamo al Recovery fund, è necessario che si predisporlo nel modo migliore, pensando alle infrastrutture sociali, altrimenti si rischia che quel denaro vada sprecato. Papa Francesco a Seul lodò il lavoro delle associazioni ma disse ci auguriamo che arrivi il momento in cui ognuno sia in grado di procurarsi il proprio pane con le proprie mani. Del resto sono principi che troviamo nella Bibbia e nella Costituzione, accompagnati dal desiderio della promozione umana attraverso una dimensione fraterna”.