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Imprenditore ha una tresca con l'amante del capoclan. Scatta l'ordine shock: "Ora ammazzati con le tue mani!"

è uno degli episodi più violenti e significativi emersi nel corso delle indagini della Procura che hanno smantellato il gruppo criminale murgiano

Uno sgarro da punire in modo esemplare per mostrare la propria forza e dare 'una lezione' a un giovane imprenditore che aveva osato avere una relazione con la donna del capoclan: è uno degli episodi più violenti e significativi emersi nel corso delle indagini della Procura di Bari che hanno smantellato il gruppo criminale D'Abramo-Sforza di Altamura, con 54 arresti complessivi. 

La vicenda è stata raccontata dal sostituto procuratore Marco D'Agostino nel corso della conferenza stampa nella sede degli Uffici Giudiziari di via Dioguardi a Poggiofranco, ed è stata riferita da alcuni collaboratori di giustizia: un giovane imprenditore altamurano aveva allacciato un rapporto, da più di un anno con la moglie di uno degli affiliati più importanti del gruppo criminoso che, allo stesso tempo, intratteneva un'altra relazione con il presunto capoclan Michele D'Abramo

"Devi ammazzarti tu con le tue mani"

Questi, venendo a sapere della tresca clandestina, si sarebbe recato nell'azienda dove lavorava il giovane, fratello di uno dei soci dell'impresa. D'Abramo, lì, avrebbe imposto a tutta la famiglia di presentarsi al suo cospetto: padre, madre e due fratelli. Giunti da lui, D'Abramo si sarebbe rivolto con toni durissimi al giovane: "Ti potrei ammazzare io con le mie mani - avrebbe riferito, secondo quanto raccontato dal pm durante la conferenza stampa - ma non lo faccio perché devi ammazzarti tu con le tue mani". Quindi, avrebbe imposto alla donna di sputare in faccia al ragazzo, dicendogli di essere stata solo vittima di sue avance. 

La fuga a Milano e il 'ricatto' alla famiglia

Il giovane, a quel punto, sarebbe stato costretto ad allontanarsi per andare in bagno dove si tagliò le vene. Soccorso immediatamente, venne portato in ospedale. Fu obbligato ad allontanarsi, a Milano, ma alla sua famiglia sarebbe stato imposto di dare 300mila euro affinché non venisse ucciso: "E' un episodio - ha affermato il pm D'Agostino - indicativo della violenza, dell'intimidazione e del clima con cui si manifestava il potere mafioso di Michele D'Abramo".

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