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Cronaca

In carcere sempre più detenuti affetti da problemi psichici, tra disturbi della personalità e depressione: "Situazione allarmante"

Da Bari i dati del progetto 'Insieme - Carcere e salute mentale" che mettono in luce una "situazione delicata": nel complesso, circa il 75% della popolazione carceraria soffre di disturbi che la detenzione aggrava o fa esplodere

Il 4% dei detenuti è affetto da disturbi psicotici, contro l'1% della popolazione generale. La depressione colpisce il 10% dei reclusi, mentre il 65% convive con un disturbo della personalità. Significativa, infine, la percentuale di popolazione carceraria che soffre di disturbo da stress post-traumatico, con particolare riferimento ai detenuti migranti: si va dal 4% al 20%. 

La malattia mentale in carcere

Sono dati allarmanti, riferiti alle carceri italiane e presentati oggi a Bari, quelli che emergono dal progetto 'Insieme - Carcere e salute mentale', avviato nel 2016 e giunto a conclusione con l'evento finale che si è tenuto nel capoluogo pugliese. Numeri che testimoniano come nelle carceri la malattia mentale sia più presente di ciò che si pensa, anche perché spesso sono proprio l'isolamento e lo shock che la detenzione può veicolare a far esplodere o aggravare i disturbi psichici. "Nelle carceri il problema è molto delicato - spiega all'agenzia Dire Enrico Zanalda, presidente della Società italiana di psichiatria (Sip)- Sicuramente il tasso di disturbi psichici è molto elevato ma è anche legato a disturbi che non hanno influenza sulla commissione del reato. Legati, piuttosto, alla condizione di detenzione. E quindi vanno trattati dal personale che assiste i detenuti all'interno del carcere".

Il progetto 'Insieme'

Il progetto 'Insieme' ha coinvolto 16 istituti penitenziari italiani per 3 anni, giungendo alla pubblicazione di un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta) per una gestione unitaria e multidisciplinare dei disturbi psichiatrici nelle carceri italiane. Tra le novità del nuovo Pdta c'è la valutazione della salute mentale, il monitoraggio fin dall'ingresso in carcere, l'utilizzo di trattamenti di ultima generazione e i gruppi di sostegno tra i detenuti, oltre che diverse attività educative-culturali. Il progetto ha un grande valore: "L'aver elaborato un percorso terapeutico-assistenziale volto a identificare modelli di intervento omogenei nelle carceri italiane, pur nel rispetto delle diversità locali", chiosa Luciano Lucania, presidente della Società Italiana di medicina e sanità penitenziaria (Simspe). Il punto in comune, infatti, da Nord a Sud, è "la privazione della libertà e l'ambiente carcerario stesso. Fonti- continua il presidente Simspe- di grande stress che possono portare allo sviluppo, o all'acuirsi, dei disturbi psichiatrici, con particolare riferimento a quelli psicotici, della personalità e della depressione". L'esigenza a cui il progetto mira, dunque, è quella di "una stretta collaborazione fra le diverse figure professionali, che sono coinvolte nella gestione del paziente-detenuto", commenta Massimo Clerici, presidente della Società italiana di psichiatria delle dipendenze, che aggiunge: "Attraverso il coordinamento delle tre società scientifiche promotrici, il progetto ha puntato molto sulla formazione, non limitandola solo agli operatori sanitari ma estendendola a tutti i soggetti coinvolti nel circuito assistenziale. Nell'ottica di una piena integrazione carcere-territorio". In questo senso, si sono svolti anche "incontri formativi destinati al personale penitenziario. Che si sono dimostrati fondamentali per il miglioramento della gestione delle malattie mentali". La multidisciplinarietà introdotta da 'Insieme' fonda le radici nell'analisi della situazione concreta delle carceri italiane, proponendo linee di indirizzo unitarie per la gestione del detenuto affetto da disturbi mentali, sia nel periodo della detenzione che al momento del rilascio, assicurando così la continuità terapeutica-assistenziale. Il grande passo in avanti fatto da 'Insieme', in questo senso, "è proprio quello di aver prestato attenzione ai bisogni concreti dei detenuti con problemi mentali- commenta Enrico Zanalda, presidente della Società italiana di psichiatria- Sia alle necessità cliniche che a quelle giuridiche, in un circolo virtuoso che vede correlati il sistema penitenziario e quello sanitario, l'uno consapevole e rispettoso delle dinamiche dell'altro, con l'obiettivo comune del recupero e del futuro reinserimento del paziente nella societa'".

L'impegno della Regione Puglia

La Regione Puglia "è uno dei 9 SAI presenti sul territorio nazionale", spiega Domenico Semisa, direttore del Dipartimento di Salute Mentale della Asl di Bari, che afferma: "Rispetto alle persone detenute che commettono reati e hanno problemi psichiatrici, noi- aggiunge- abbiamo anzitutto l'obiettivo di garantire le cure più adeguate a coloro che sono negli istituti di pena. Siano pazienti psichiatrici che commettono crimini, che detenuti che si ammalano in carcere. Vogliamo garantire loro continuità nelle cure psichiatriche, anche dal momento della scarcerazione alla presa in carico dei servizi territoriali. Per questo il nostro Dipartimento- ribadisce il direttore- vede nel progetto la concretizzazione di quanto ha già iniziato a fare, ormai da più di un anno, con la stesura di protocolli e procedure interni".

Il progetto, promosso dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria, con il patrocinio della Società italiana di psichiatria, della Società italiana di psichiatria delle dipendenze e con il supporto incondizionato di Otsuka e Lundbeck, non si chiude con il 2019. Nel 2020, infatti, l'impegno del board scientifico e delle aziende sponsor si concentrerà sulla realizzazione di una nuova fase progettuale in ambito Rems, che identifichi chiaramente un puntuale percorso formativo rivolto agli operatori tutti.

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