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Cronaca

Processo ex Ilva: condannati a 20 e 22 anni i fratelli Riva, tre anni e mezzo per Vendola

La sentenza emessa questa mattina dalla Corte d'Assise di Taranto: l'ex governatore era accusato di concussione in concorso

Sono state emesse questa mattina dalla Corte d'Assise di Taranto le sentenze del maxi-processo 'Ambiente svenduto' sull'ex Ilva di Taranto, relativo all'inquinamento ambientale prodotto dallo stabilimento siderurigico. I fratelli Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori Ilva, sono stati condannati rispettivamente a 22 e 20 anni di reclusione: rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.

Condanna a tre anni e sei mesi per Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata in concorso. L'ex presidente della Regione, secondo la tesi dell'inquirenti, avrebbe fatto pressioni sull'allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per far "ammorbidire" la posizione dell'agenzia in merito alle emissioni nocive prodotte dall'Ilva.

Vendola: "Mi ribello a una giustizia che calpesta la verità"

Assennato, a sua volta accusato di favoreggiamento nei confronti dell'ex presidente della Regione Vendola, è stato condannato a due anni: secondo l'accusa avrebbe taciuto le pressioni subite da Vendola. L'ex dg Arpa ha sempre negato di aver ricevuto pressioni dall'ex governatore e aveva rinunciato all prescrizione. Il pm aveva chiesto la condanna a un anno.

Tra gli altri imputati condannati, figurano l'ex responsabile delle relazione istituzionali Girolamo Archinà (21 anni e 6 mesi) e l'ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso (21 anni). Condannato a 17 anni e sei mesi l'ex consulente della procura Lorenzo Liberti. 

Disposta inoltre la confisca degli impianti dell'area a caldo che furono sottoposti a sequestro il 26 luglio 2012 e delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva Forni Elettrici.

Il commento di Emiliano

“La giustizia ha finalmente fatto il suo corso accertando che i cittadini di Taranto hanno dovuto subire danni gravissimi da parte della gestione Ilva facente capo alla famiglia Riva. I delitti commessi sono gravissimi e sono assimilabili a reati di omicidio e strage non a caso di competenza della Corte d’Assise al pari di quelli per i quali è intervenuta la pesantissima condanna. La sentenza è un punto di non ritorno che deve essere la guida per le decisioni che il Governo deve prendere con urgenza sul destino degli impianti. Gli impianti a ciclo integrato, che hanno determinato la morte di innumerevoli persone tra le quali tanti bambini, devono essere chiusi per sempre e con grande urgenza per evitare che i reati commessi siano portati ad ulteriori conseguenze e ripetuti dagli attuali esercenti la fabbrica. L'attività industriale attuale a ciclo integrato a caldo va immediatamente sospesa e si deve decidere il destino dell'impianto e dei lavoratori. La Regione Puglia, parte civile, ha richiesto ed ottenuto la condanna degli imputati e della società al risarcimento dei danni che saranno quantificati in separata sede ottenendo una provvisionale di 100mila euro. E pertanto ha titolo per iniziare una causa civile contro tutti coloro che hanno provocato il danno e contro coloro che eventualmente stanno continuando a cagionare danni ambientali e alla salute. Non ci arrenderemo mai alla sottovalutazione colpevole della tragica e delittuosa vicenda ex Ilva e agiremo su tutti i fronti che le normative italiane ed europee ci concedono. Sarà guerra senza quartiere a tutti coloro che in ogni sede hanno colpevolmente sottovalutato o agevolato i reati commessi. Per quanto riguarda il risarcimento che la Regione Puglia deve assicurare per fatti accaduti prima della attuale amministrazione, siamo pronti a far fronte alla richiesta risarcitoria ove essa sia confermata dalla sentenza definitiva. Siamo consapevoli però che la Regione Puglia dal 2005 in poi è stata l’unica istituzione ad aver concretamente agito per fermare quella scellerata gestione della fabbrica, almeno fino a quando non è stata estromessa per legge da ogni possibilità di intervento sui controlli ambientali, con leggi nazionali che hanno fatto eccezione alle regole in vigore per il resto d’Italia”.


  *Ultimo aggiornamento ore 14.17

(foto Ansa)
 

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