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Giovedì, 30 Marzo 2023
Cronaca

Novanta condanne per complessivi 700 anni di carcere: la sentenza del processo Pandora decapita i clan Capriati e Mercante-Diomede

Le pene comminate vanno da un minimo di 4 anni e 6 mesi a un massimo di 11 anni e 4 mesi per Nicola Diomede, riconosciuto come uno dei capi organizzatori del sodalizio. Il procedimento è scaturito dal maxi blitz di giugno 2018

Novanta condanne per un complessivo di 700 anni di carcere infltti: è stata emessa, dal gip di Bari, la sentenza del processo Pandora, ai danni di numerosi esponenti appartenenti, a vario titolo, ai clan Diomede-Mercante e Capriati, scaturito dal maxiblitz del giugno 2018 effettuato dai Carabinieri che decapitò i sodalizi criminali portando alla luce numerosi affari illeciti in praticolare nei comuni a nord di Bari.

Il procediemnto, con rito abbreviato, ha riguardato 91 imputati su 104 arrestati complessivamente nel blitz: per gli altri 13 vi è in corso il rito ordinario. Nella sentenza di primo grado di oggi, letta nell'aula bunker del carcere di Trani, 51 imputati sono stati riconosciuti appartenenti al clan Diomede-Mercante e 36 a quello dei 'Capriati'. Due imputati sono stati condannati perche avrebbero preso parte, nel tempo, ad entrambe le consorterie mafiose, uno invece per rapina aggravata e sequestro di persona. Le pene comminate vanno da un minimo di 4 anni e 6 mesi a un massimo di 11 anni e 4 mesi per Nicola Diomede, riconosciuto come uno dei capi organizzatori del sodalizio.

L’indagine diretta dalla DDA di Bari e condotta dal ROS ha dimostrato che entrambi i sodalizi erano caratterizzati "da una struttura gerarchizzata in cui delineati i ruoli e i compiti degli affiliati, dall’imposizione di rigide regole interne e del connesso rispetto delle gerarchie, dal controllo militare del territorio – coincidente totalmente o parzialmente con quello dei quartieri del
centro abitato di Bari in cui promosse le attività illecite e dall’operatività delle articolazioni presenti in vari comuni della provincia di Bari (Valenzano, Bitonto, Adelfia, Triggiano, Altamura, Corato, Terlizzi), e di Barletta-Andria-Trani (Bisceglie, Trani)". I clan, inoltre, avrebbero fatto ricorso "a rituali camorristici di affiliazione promossi, diretti ed organizzati dai loro componenti che all’interno del sodalizio rivestono la qualità di “padrini” a favore dei “figliocci”, attraverso le cerimonie liturgiche del “battesimo”, con il quale viene conferita la “personalità mafiosa” necessaria per agire nell'ambito
del consorzio con pienezza di diritti e doveri, ma anche di quella del “movimento” con il quale all’affiliato viene conferita la “dote”, ovvero la promozione ai vari gradi superiori, eseguito necessariamente con la partecipazione di altri soggetti “attivati”, funzionali a stabilire un posizionamento nell’organigramma del clan, entrambe celebrate da un organismo, denominato 'capriata' ".

Nel processo “Pandora” avrebbero dovuto trovare spazio l’esame delle posizioni di altri 6 soggetti, tutti morti per agguati: tra loco Diomede Cesare (ucciso nel 2011); Matera Nicola (ucciso nel 2012); Villoni Massimiliano (ucciso nel 2012); Sifanno Donato (ucciso nel 2014); Luisi Luigi (ucciso nel 2016); Fiorile Gaetano (ucciso nel 2017). Quattro gli imputati che hanno  formalizzato ammissioni di colpe, due i 'pentiti'. Si è trattato del più complesso processo mai celebrato in Italia interamente in videoconferenza: la Amministrazione penitenziaria ha contribuito alla gestione di decine di collegamenti in videoconferenza con altrettanti istituti penitenziari.

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