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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Ceglie del Campo

Il vuoto di potere e le fibrillazioni nel clan dopo il pentimento del boss Di Cosola: agguati a Ceglie, cinque arresti

In carcere cinque persone, indagate per due ferimenti a colpi d'arma da fuoco avvenuti nel novembre 2015: dietro gli episodi, secondo quanto emerso dalle indagini, i contrasti interni al gruppo per la conquista del vertice, dopo la decisione dello storico capo Antonio di collaborare con la giustizia

Il vuoto di potere dopo la decisione del capo di diventare collaboratore di giustizia, e le fibrillazioni interne al clan per scalarne i vertici. Sarebbero maturati in questo contesto i due agguati verificatisi nel mese di novembre 2015, a distanza di pochi giorni, nel quartiere barese di Ceglie del Campo, storico 'feudo' del clan Di Cosola.

Per quei due ferimenti a colpi d'arma da fuoco, i carabinieri del Comando provinciale di Bari hanno arrestato e condotto in carcere questa mattina cinque persone (una delle quali già ai domiciliari), indagate per i reati di lesioni gravissime e permanenti e detenzione di armi, aggravati dall’aver agito con modalità e per finalità mafiose.

>> IL VIDEO DELL'OPERAZIONE <<

Il primo agguato, il 13 novembre 2015, fu commesso in strada, nel pieno centro abitato del quartiere. Il secondo, avvenuto pochi giorni dopo, il 17 novembre, si consumò in via Ada Negri, zona più periferica dell'ex frazione, con l’irruzione armata in un circolo ricreativo in presenza di altre persone. "Il tutto - hanno ricostruito gli investigatori, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari - finalizzato non solo a colpire fisicamente le vittime ma anche e soprattutto a lanciare un chiaro segnale a tutti i sodali".

Secondo l’impostazione accusatoria accolta dal gip, infatti, i due fatti di sangue, vicini tra loro temporalmente, sarebbero maturati proprio a seguito del vuoto di potere creatosi dalla decisione di collaborare con la giustizia dello storico capo del clan, Antonio Di Cosola. 

Una decisione che, evidenziano gli investigatori, "avrebbe sconvolto gli equilibri dei sodali, soprattutto quelli che, per vicinanza camorristica e fedeltà indiscussa all’ormai ex boss, ritenevano essere i naturali eredi al vertice del clan". Una "pretesa" che però "non sarebbe stata riconosciuta da quella parte del clan che godeva anch’essa di alta considerazione camorristica, ma soprattutto di un vincolo parentale con tutta la famiglia Di Cosola". Proprio in virtù di detta fibrillazione, e alla luce delle risultanze investigative già raccolte in quel periodo storico dalla DDA e dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Bari, nell'ambito dell'indagine Attila, nel successivo mese di dicembre si procedette all’esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere, con la quale venne decapitato il braccio armato del clan e vennero spente sul nascere le rivalità per l’ascesa al potere.

Le indagini che hanno portato all’odierna misura cautelare sono state condotte con l’ausilio di attività tecniche d’intercettazione, suffragate dalle successive dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, puntualmente riscontrate.
 

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