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Martedì, 3 Ottobre 2023
Cronaca

Faida del quartiere San Pio, due arresti per l'omicidio Corallo: individuati presunti mandante e killer

Il delitto, avvenuto a febbraio 2016, sarebbe maturato nell'ambito dei contrasti tra gli Strisciuglio e le compagini rivale dei Di Cosola-Capriati. In manette il presunto mandante e l'esecutore materiale

Sarebbero rispettivamente mandante ed esecutore dell'omicidio di Gianluca Corallo, avvenuto nel febbraio 2016 al quartiere San Pio.  Con questa accusa i carabinieri del Comando provinciale di Bari hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal GIP del Tribunale del capoluogo pugliese, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di due pregiudicati baresi, considerati "elementi di assoluto rilievo del clan Strisciuglio", con le accuse, a vario titolo e in concorso, di omicidio, porto e detenzione di arma da fuoco in luogo pubblico, nonché esplosione di colpi d’arma da fuoco in luogo pubblico, con l’aggravante del metodo mafioso. Le ordinanze sono state eseguite a Taranto e Larino, dove i due erano già detenuti per associazione di tipo mafioso e altri reati.

Le indagini, gli arrestati e le accuse

Destinatari delle misure Saverio Faccilongo, 31enne – ritenuto al vertice dell’articolazione strisciugliana nel rione – e Vito Antonio Catacchio, 33enne, considerato suo killer di fiducia, rispettivamente, il presunto mandante e il presunto esecutore materiale dell’omicidio del 32enne, maturato proprio nell'ambito della 'faida di San Pio'. Il provvedimento restrittivo è stato adottato in base agli ulteriori esiti di un’indagine avviata nel gennaio 2016 dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Bari che ha consentito di fare piena luce su un violento conflitto sorto, per il controllo dei traffici illeciti, nel quartiere periferico barese di Catino – Enziteto, tra i referenti di zona degli Strisciuglio e quelli invece legati alle rivali compagini dei Di Cosola e dei Capriati.

La faida nel quartiere: "Corallo ucciso per punizione"

Le indagini hanno consentito di far luce in maniera più dettagliata sulle ragioni alla base del delitto Corallo, secondo la Procura "fondate sulla necessità del capo cosca di punire la vittima, per aver tentato di ritagliarsi autonomi spazi criminali d’intervento nel territorio d’interesse, in ordine al controllo del mercato della droga, schierandosi proprio al fianco degli avversari". 

La lotta al clan Strisciuglio e le condanne del processo 'Agorà'

L’esecuzione di tali provvedimenti segue di poche ore la sentenza di condanna di primo grado comminata dal Tribunale del capoluogo a ben 41 affiliati al medesimo clan Strisciuglio, al termine del processo scaturito dalle risultanze della nota operazione “Agorà”, condotta sempre dal Nucleo Investigativo di Bari e coordinata dalla locale D.D.A., la cui fase esecutiva culminò l’8 luglio 2015 con l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 43 persone. 

L'organizzazione del clan: il pizzo, i riti di affiliazione, il ruolo delle donne

L'indagine - ricorda la Procura - consentì di ricostruire anni di egemonia e di dominio in settori vitali dell’economia, primo fra tutti il settore edile locale, dove venne registrata la doppia imposizione del pizzo a imprenditori che pur di lavorare tranquilli pagarono sia gli Strisciuglio, sia gli uomini del clan Di Cosola. Le indagini dell’operazione “Agorà” accertarono che nessun cantiere era esentato dal pizzo, anche quello di una scuola elementare in costruzione nella zona Palese finì sotto estorsione, inoltre vennero documentate infiltrazioni nella tifoseria del Bari Calcio, evidenziando il tentativo dei clan d’infiltrarsi all’interno dello stadio San Nicola, come emerse all’epoca anche in occasione di concerti musicali di artisti di fama nazionale. Nella stessa indagine vennero ricostruite anche le dinamiche dei riti di affiliazione mutuati dalla camorra campana e bloccati dai fratelli Strisciuglio perché ritenuti troppo pericolosi per la segretezza del clan. Infatti il rito prevedeva che il nuovo giunto nel clan fosse presentato ufficialmente a tutti gli altri affiliati dal padrino, che lo annunciava: ”Questo è un mio ragazzo”. Iniziava poi la carriera interna al clan con i “gradi di battesimo”, dopo il quarto grado si aveva facoltà di fondare un proprio clan. L’affiliazione garantiva economicamente la famiglia in caso di arresto dell’affiliato. I familiari ricevevano una somma mensile detta “spartenza”, ed era così che i capi, anche se in carcere, potevano garantire un alto tenore di vita alle famiglie che potevano affrontare in modo sfarzoso grossi eventi, come un matrimonio. Emerse anche il ruolo chiave svolto delle donne del clan come messaggere che aggiornavano i capi in carcere sulle dinamiche di affiliazione, riuscendo a far entrare nelle celle anche la droga.

*Ultimo aggiornamento ore 11.45

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