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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Alimenti non freschi e inquinamento: arriva il 'naso elettronico' dell'Università di Bari

I ricercatori del Dipartimento di Chimica, capofila del progetto europeo FlexSmell, hanno realizzato un chip con una proteina che permette di rilevare gli odori meglio del naso umano: il dispositivo potrà essere utile per industrie dei cibi e ambiente

Sente gli odori meglio degli umani, ma è un chip dalle tante applicazioni future nell'industria e nella sicurezza alimentare: il 'naso elettronico' si fa realtà concreta grazie alle intuizioni del Dipartimento di Chimica dell'Università di Bari, capofila del progetto internazionale FlexSmell, finanziato dall'Unione Europea e che ha visto professori e ricercatori dell'ateneo del capoluogo impegnati in una collaborazione con altre realtà accademiche straniere, tra cui Sheffield, Manchester e Losanna

. A coordinare lo studio, la professoressa Luisa Torsi, coordinatrice del corso di Laurea in Scienze dei Materiali: "L'idea iniziale  - spiega Torsi - era quella di sviluppare un sistema del packaging alimentare che potesse analizzare la componente volatile emessa dai cibi, determinandone il loro grado di freschezza. Abbiamo quindi sviluppato un sensore con transistor a cui è stato integrato un elemento di riconoscimento ovvero una proteina odorante (odorant binding protein, ndr) estratta dal muco dei maiali".

Queste, infatti, hanno un ruolo importante nel catturare le molecole e trasportarle ai ricettori olfattivi, giocando un ruolo attivo nella percezione: "Siamo riusciti - continua Torsi - a riprodurre il processo sul dispositivo elettronico e questo ha dimostrato di avere un 'naso' migliore di quello umano, distinguendo, ad esempio, le molecole carboniche che hanno odori simili ma differenti, di cumino e menta".

Allo studio, durato circa 4 anni e finanziato per 4 milioni di euro dalla Ue, hanno preso parte anche il professor Gerardo Palazzo, e i ricercatori Yusuf Mulla e Maria Magliulo dell'Università di Bari, coadiuvati dal professor Krishna Persaud e della post-doc Elena Tucconi dell'Università di Manchester. Il passo successivo sarà portare il 'chip' nell'industria: "Attualmente - racconta Torsi - stiamo cercando finanziamenti da parte di aziende per svilupparlo a livello produttivo. I campi di utilizzo potrebbero essere tanti, non solo nelle industrie alimentari, ma anche per rilevare, ad esempio, l'inquinamento dell'aria".

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