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Cronaca

"Rimbalzati tra due ospedali e al freddo per visitare mia figlia dolorante": l'odissea della wedding planner barese dopo la positività al Covid

Viola Tarantino racconta la disavventura che ha visto protagonista la figlia 13enne, come lei in quarantena perché positiva al virus. E quando giovedì la piccola ha iniziato ad avvertire forti fitte, è stato praticamente impossibile farsi visitare

Un'odissea in ospedale per tentare di far visitare la figlia con forti dolori, per di più mentre la gran parte del nucleo famigliare si trova ad affrontare i sintomi del Covid. Una disavventura che Viola Tarantino, wedding planner barese 46enne, ha anche denunciato sui social, in un post indirizzato al governatore Michele Emiliano e al sindaco di Bari, Antonio Decaro.

Il racconto di Viola: "Rimbalzata tra due ospedali, mentre mia figlia stava male"

La disavventura per la famiglia Tarantino è iniziata mercoledì, quando Olga - figlia 13enne di Viola - inizia ad avvertire prima dolori alle gambe, poi alle braccia e alla testa e poi al costato, talmente forti da farla piangere. A quel punto, su suggerimento della pediatra, Viola chiama il marito Danilo per chiedere di accompagnare la figlia in ospedale, essendo lui l'unico non positivo al Covid in famiglia. L'emergenza, infatti, arriva dopo che Viola e le due figlie sono risultate positive al Covid, "con sintomi molto fastidiosi nonostante le tre dosi di vaccino - assicura Viola, raccontandoci la vicenda - perché ad oggi tutti credono che ci si contagi solo con la variante Omicron che è più leggera, ma non sempre è cosi. Nonostante questo siamo dovuti subito correre in ospedale, perché la pediatra temeva si trattasse di miocardite". 

Destino vuole però che il marito Danilo rimanga bloccato per strada, obbligando così la wedding planner a portare autonomamente sua figlia in ospedale. La prima destinazione è il pediatrico Giovanni XXIII: "Appena arrivati ci dicono di attendere in auto. In attesa di visita c'erano altri sette malati, con un tempo di attesa stimato di sei ore. Abbiamo passato al freddo più di un'ora, poi ho deciso di chiamare nuovamente la pediatra". Il consiglio del medico è di rientrare a casa e monitorarla, peccato che poco dopo che la macchina lascia il presidio ospedaliero pediatrico, la 13enne ha una nuova crisi: dolori lancinanti che non lasciano presagire nulla di buono. Su consiglio di un altro medico, Viola viene indirizzata al Policlinico: "Una volta arrivati in auto le guardie lì presenti ci hanno dato indicazioni completamente differenti una dall'altra". Dopo il caos, la situazione sembra potersi risolvere positivamente quando alle due viene chiesto, "senza scendere dall'auto" sottolinea Viola nel post, di "andare nel hangar delle autoambulanze, qualcuno sarebbe arrivato ad aiutarci. Passano 20 minuti e si affaccia un infermiere che ci dice che saremmo dovuti andare al reparto covid, parcheggiando l’auto ad almeno 800 metri dallo stesso", nonostante le ripetute segnalazioni sullo stato di salute della piccola.  "Arriviamo finalmente al reparto e prima un sedicente infermiere mi dice che l’avrei dovuta lasciare da sola per tutta la notte per farle i controlli (logicamente ho detto che non sarebbe potuta rimanere da sola tutto il tempo necessario) - prosegue il racconto di Viola - lo stesso riporta le mie volontà alla dottoressa (che non è mai uscita dalla sua stanze ) e poi ci rimanda all’ospedaletto perché mia figlia non può essere visitata per età al Policlinico. Dopo aver espresso il mio disappunto in maniera troppo elegante, mi porto Olga a casa, con le fitte che continuano".

L'ondata di solidarietà social 

Fortunatamente, come ci racconta Viola, le fitte sono sparite nella notte, lasciando solo il ricordo di un terribile pomeriggio. Ma anche un'amara riflessione: "Il post sui social ha generato una vera ondata di solidarietà - commenta Viola - ma non abbiamo avuto nessuna indicazione da chi dovrebbe seguirci, come la pediatra. È questo il sistema sanitario pubblico a cui dovremmo affidarci? Al Giovanni XXIII c'era un solo medico in quel momento per le visite. Come possiamo affrontare un periodo complesso come questo dal punto di vista sanitario con un organico ridotto al minimo?". La domanda non ha risposta, così come rimane la certezza che, in caso di una patologia davvero grave, l'unica via di salvezza per la wedding planner sarebbe stata quella di affidarsi a una struttura sanitaria privata. "Eppure - l'amara riflessione finale - sia io che mio marito siamo imprenditori e paghiamo un sacco di tasse. Ci chiedono di affidarci al sistema sanitario pubblico, ma storie come quella che ho vissuto rendono difficile farlo".

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