Appuntamento gratuito con la trasmissione in streaming della rassegna "I Lunedì della Prosa con i classici del Teatro Abeliano"
Il 7 gennaio 1993 al Teatro Abeliano andava in scena (con regia di Antonio Salines e scena di Chiara Defant) "LA CAPANNINA" di Andrè Roussin con interpreti Grazia Maria Spina, Vito Signorile, Luciano Bartoli, Isaac George.
Questo piccolo gioiello teatrale tirato fuori dall'archivio storico dei primi 50 anni di attività del Gruppo Abeliano sarà riproposto lunedì 29 marzo alle ore 17:00 sul profilo Facebook del Teatro Abeliano (e in replica alle ore 21:30 su Radio PoPizz Tv al canale 881 del digitale terrestre) per l'abituale appuntamento con la trasmissione in streaming gratuito della rassegna "I Lunedì della Prosa con i classici del Teatro Abeliano".
André Roussin è un attore con l’istintivo e infallibile senso pratico del palcoscenico e una straordinaria sensibilità della battuta risolvente; egli possiede la coscienza, stavo per dire l’orgoglio, della modestia dei propri limiti entro i quali sa manovrare da grande stratega. È soltanto una tempesta in un catino ma con tutta la apparenza di una tempesta vera. Ciò premesso, è chiaro, tutto dipende esclusivamente dall’esecuzione, in altre parole dagli attori capaci di spremere il limoncino del copione. Fiasco o trionfo esso dipende tutto ed esclusivamente da loro.
Nel genere piccola commedia, fin dal titolo, questa Capannina, è un modello. Tre naufraghi ai vertici dell’eterno triangolo: marito, moglie e amante della moglie si trovano di colpo sbattuti su un’isola deserta, gli uomini in frac e la donna in abito da sera, due capanne, una grande capanna matrimoniale e una capannina da scapolo. Ma qui non è come nel consorzio civile e riesce difficile la strategia dell’adulterio tradizionalmente consacrato. C’è soltanto una donna fra due uomini se non proprio una femmina fra due maschi. Occorre semplificare e l’amante decide, lì per lì, di mettere le carte in tavola e difendere i propri diritti davanti all’amico. Il quale non fa tante scene, si rassegna e si mettono subito d’accordo su un compromesso: la donna vivrà maritalmente una settimana con l’uno e una settimana con l’altro.
Ciò produce delle conseguenze abbastanza curiose e cioè, in un certo senso, l’amante assume la psicologia del marito e il marito quella dell’amante. Il primo si riempie di dubbi, di gelosie e di preoccupazioni e il secondo si entusiasma e si eccita di peccaminose, proibite e ignorate sorprese. A un certo punto, colui che si ribella è l’amante e il marito si dà da fare a persuaderlo dei vantaggi della nuova situazione. Quando poi si presenta un atletico negro e, dopo aver legato i due naufraghi ad un albero, senza tanti riguardi, esercita i suoi diritti di preda sulla donnina, lusingatissima di venir violentata da un re della foresta, il legittimo consorte prende la faccenda con filosofia come una naturale e inevitabile legge del vivere primitivo, e l’amante soffre le pene dell’inferno, morsicato dalla più furiosa gelosia. Finalmente arriva una nave a trarli in salvo. Rientrando nella regola civile tutto torna come prima. I due amanti fanno credere al pacifico cornuto di aver rinunciato per sempre all’esercizio dell’adulterio e così possono concordemente riprendere le cose al punto come erano prima di far naufragio; e il negro, che non era un indigeno ma soltanto il cuoco di bordo, sbarcato sul versante opposto dell’isola, torna un disciplinatissimo e rispettosissimo domestico. Sono finite le vacanze della morale e ricomincia normalmente l’esistenza regolare ed educata.