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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Fiera del Levante 2012, Emiliano: "Il rilancio del paese passa anche attraverso la lotta alla mafia"

Il testo integrale del discorso tenuto dal sindaco di Bari alla cerimonia inaugurale della Fiera del Levante

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di BariToday

Signor Presidente del Consiglio, accolga il caloroso benvenuto della Città di Bari che intende subito darle atto della Sua capacità di restituire a tutti noi il rispetto e la dignità che sono dovute ad un grande Paese, che è tra le prime dieci potenze industriali del mondo e che intende rimanere ai vertici anche in futuro. Non confonda mai l’opposizione motivata ai contenuti della Sua azione di governo, che non Le abbiamo fatto mancare, lo riconosco, con il nostro affidamento in merito alla lealtà con la quale Lei sta servendo il Paese nel momento più difficile della storia repubblicana.

Innanzitutto rivolgo il mio saluto a tutti i pugliesi impegnati nella mobilitazione contro l’installazione delle trivelle nel nostro mare, patrimonio naturale che non ha prezzo.

Il mio pensiero va anche ai nostri due marò del battaglione San Marco, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, trattenuti da sette mesi in India contro le norme del diritto internazionale.

Non dobbiamo mai far mancare loro, e a tutti i militari impegnati all’estero, il calore e la gratitudine del Popolo Italiano per il gravoso e pericoloso servizio che essi prestano.

Signor Presidente, la Sua presenza ci permette di ribadire la nostra fiducia nelle istituzioni repubblicane che Bari ha contribuito a costruire dopo l’8 settembre 1943, attraverso atti eroici che hanno determinato il Presidente Napolitano a conferirci nel 2006 la medaglia d’oro al valor civile per il contributo offerto alla lotta di Resistenza. Bari è stata peraltro, assieme a Parma, l’ultima città a cedere al fascismo trionfante nel 1922 grazie alla CGIL e a Peppino Di Vittorio che difesero con le armi la Camera del Lavoro di Bari Vecchia.

Non è dunque un caso che la vita democratica italiana sia ricominciata proprio qui con il primo congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale, con le trasmissioni libere di Radio Bari, con il discorso di Benedetto Croce che parlò per la prima volta, nel Teatro Piccinni, della necessità di un’Assemblea Costituente. Non è stato un caso che proprio a Bari avesse studiato e operato in quegli anni il professor Aldo Moro che da giovane componente della assemblea Costituente fu il redattore dell’articolo 1 della Costituzione che prescrive che la Repubblica italiana è fondata sul lavoro. Non sulla rendita patrimoniale e finanziaria, non sullo spread che si traduce in continui prelievi sul reddito da lavoro autonomo o dipendente.

È questa la ragione per la quale le vertenze occupazionali della OM Carrelli Elevatori, della Magneti Marelli e della CBH - tra le tante - non devono essere affrontate come uno stanco rituale nel quale accomodare la rassegnazione, ma come lotte strenue e determinate contro la perdita di un patrimonio umano di enorme portata!

Non è un caso neppure che le prime aziende multinazionali italiane abbiano avuto la loro sede in questa città, dove lo stesso Presidente Moro ebbe il merito di comprendere che la Fiera del Levante non era un’inutile sagra di rito fascista, bensì il principale fattore di promozione della cultura di impresa nel Mezzogiorno, in Italia seconda solo alla Fiera di Milano. Fu grazie a queste intuizioni che in Puglia - non senza gravissimi sacrifici per l’ambiente e per la salute - nacque, tra le altre, l’Italsider di Taranto.

Erano anni in cui alla Fiera del Levante non solo era d’obbligo la presenza del Presidente del Consiglio, ma erano anche presenti il Capo dello Stato, Ministri e Capitani di Industria, come Gianni Agnelli, consapevoli dell’importanza che questo appuntamento economico aveva per il Paese intero. Bari non aveva colto questo risultato da sola, aveva fatto molto da sé, ma era stata sostenuta dall’Italia intera convinta che la risoluzione della Questione meridionale fosse questione nazionale, decisiva per il rilancio del prestigio e dell’economia italiana. La Fiera del Levante servì ad accelerare il rimarginarsi delle ferite della seconda guerra mondiale e a fare di Bari e della Puglia una delle realtà economiche più vitali e interessanti. È stata il luogo nel quale questa mentalità fattiva e attenta ai conti economici, si è formata ed è passata di generazione in generazione, legandoci ancora oggi attraverso consapevolezze comuni.

In primis nella presa di coscienza che lotta alla mafia e rilancio economico del Paese sono oggettivamente la stessa cosa. Questa battaglia è stata, e sarà sempre per i pugliesi, una priorità assoluta come dimostra l’impegno di popolo al fianco dei nostri magistrati e delle nostre forze dell’ordine che ringrazio per il lavoro durissimo che svolgono nonostante la carenza di organici, mezzi e risorse finanziarie operative. Tra breve Comune di Bari e Questura cominceranno un programma di interventi congiunti sul territorio che dimostrerà come sindaci e forze dell’ordine possono e debbono collaborare.

A questo proposito non posso che sostenere la richiesta avanzata dai capi degli Uffici Giudiziari di un sostanziale aumento degli organici della Magistratura barese, sempre più oberata di lavoro nei settori civile e penale e dalla impennata di attività di nuovi gruppi mafiosi, come sostenuto dai parlamentari pugliesi nell’incontro avuto ieri con il vicepresidente del Csm.

È questa anche la ragione per la quale non è possibile procedere alla soppressione del Tribunale e della Procura di Lucera che sono uffici essenziali per il contrasto alla mafia. Deve al più presto trovare accoglimento anche la richiesta del Procuratore Distrettuale Antimafia Antonio Laudati di dar vita alla Agenzia per i servizi giudiziari, consentendole di utilizzare i fondi sequestrati alla criminalità organizzata.

Qui da noi, anche le tragedie sono servite a costruire comuni convinzioni: le migliaia di morti per tumore causati da insediamenti industriali realizzati in spregio alla prudenza e alle leggi, ci hanno indotto a riflessioni importanti, che ci obbligano a non riversare sui magistrati le scelte che spettano solo al Parlamento e al Governo. Il nesso di causalità che lega la morte di un essere umano alla azione volontaria e cosciente di un altro essere umano, non può essere derubricata ad attività legale solo perché il Ministero dell’Ambiente rilascia un’autorizzazione ambientale integrata o perché si ritiene insostenibile economicamente il costo di adeguamento degli impianti! Occorre dunque dare atto ai magistrati di Taranto che stanno coraggiosamente applicando la Legge e la Costituzione: qualunque autorizzazione a emissioni nocive per la salute è da disapplicare e qualunque legge che le autorizzasse sarebbe da considerare incostituzionale per violazione dell’art. 32 sul diritto alla salute. Esiste un’unica strada che salvaguarda il ruolo strategico dello stabilimento ILVA, e cioè una legge per Taranto, da adottare, questa sì, con decreto legge, data l’urgenza estrema di intervenire a tutela della salute dei cittadini e delle ragioni della produzione e dell’occupazione. Occorre assicurare e finanziare l’immediato e sostanziale abbattimento delle emissioni nocive attraverso l’adeguamento degli impianti. Provvedere poi a un adeguato risarcimento nei confronti della Città che consenta un mix di interventi capaci di rimediare ai gravissimi danni subiti e di rilanciarne l’economia. Significa anche intervenire con fondi adeguati per disinquinare il sito e infine risarcire i malati ancora in vita e le famiglie dei deceduti come veri e propri danneggiati di Stato. Solo in questo modo ragioni della produzione nazionale, salvaguardia dei posti di lavoro e tutela dei diritti inviolabili dell’uomo possono essere garantiti.

Dalla consapevolezza di dover perseguire uno sviluppo sostenibile è nato qui in Puglia - in alleanza con il Cilento, la terra di Angelo Vassallo - il progetto “Cento Sindaci per la Bellezza” che abbiamo presentato qualche mese fa in questo stesso teatro.

L’idea di fondo è semplice: rendere vantaggioso per i privati il ripristino della bellezza del paesaggio e delle città. Servono normative urbanistiche nazionali e regionali che consentano di demolire le brutture in aree tutelate e, in cambio, di poter edificare, con una premialità in volumi nei territori già costruiti. In questo modo sarebbe il mercato stesso ad attuare il sogno degli ambientalisti di demolire tutte le costruzioni che hanno consumato inutilmente territorio pregiato.

Si potrebbe così ricostruire addensando e riutilizzando il suolo secondo normative antisismiche e con attenzione ai moderni metodi per la raccolta dei rifiuti e per il risparmio energetico. Il nuovo regolamento edilizio, che la città di Bari si accinge a varare, contiene in nuce molte delle idee che potrebbero restituire all’Italia il primato per il quale è diventata famosa in tutto il mondo. Il genere umano non potrebbe mai fare a meno dell’identità culturale italiana proprio perché la bellezza delle città e delle campagne della penisola ha ispirato per secoli artisti e scrittori che, senza bisogno di agenzie di promozione turistica, hanno creato il mito del “viaggio in Italia” come necessario completamento della formazione della persona.

In pochi anni di follia è stato concesso di devastare città bellissime, con costruzioni in cemento armato di scarsa qualità che nulla avevano a che fare con l’impostazione architettonica originaria. Peraltro queste costruzioni oggi sono al limite della loro durata tecnica e la loro ristrutturazione non è conveniente. Basterebbe poco per mettere in moto un meccanismo di trasformazione urbana, finalmente fondato sulla ricerca della bellezza anche da parte dei privati, senza dei quali l’operazione è impossibile. E sono sicuro che un’azione siffatta costituirebbe un potente volano economico e di immagine per il nostro Paese.

Tutti i progetti europei per le Smart Cities potrebbero assumere, accanto al risparmio energetico e all’innovazione tecnologica, l’obiettivo del ripristino della bellezza. Lo dico soprattutto al ministro Barca che ha compreso che i fondi strutturali europei vanno consegnati, con attente indicazioni e controlli, alle Città, unici enti in questo Paese ad avere una capacità di spesa rapida ed efficiente.

Colgo l’occasione per dirle che questa grande potenzialità delle città non va frenata, sempre che dimostrino capacità virtuosa di gestione del danaro. Anche se non possiamo pronunciare le parole “allentamento del patto di stabilità”, pena teutoniche irritazioni, resta il fatto che il patto è pur sempre una legge italiana, che può e deve essere declinata, a saldi invariati, in modo da consentire il rispetto dei diritti soggettivi delle aziende creditrici della Pubblica Amministrazione. Se una legge impedisce temporaneamente a un debitore che dispone della provvista, di soddisfare il diritto di credito non contestato del creditore, questa legge è incostituzionale per violazione dell’art. 41 sulla libertà di impresa, perché di fatto impedisce alle aziende di lavorare, di investire, di ammodernarsi, di essere competitive, spingendole verso l’inattività, l’indebitamento o il fallimento.

E si consideri poi che le banche hanno tratto un grande indebito vantaggio dal patto di stabilità, perché incassano interessi sui mutui delle aziende in sofferenza che mai avrebbero potuto richiedere se queste ultime avessero ricevuto quanto loro spettante nei tempi previsti.

Ma fino a quando tutto questo potrà durare?

Si aggiunga che il popolo italiano ha capito ben poco di questo “patto di stabilità” e ancora crede che le tasse cittadine siano imposte dal sindaco.

Non sanno i baresi, non se ne capacitano, che nonostante il prelievo ulteriore di 180milioni di euro rispetto all’anno scorso di IMU e di Tarsu da parte del Comune, alla loro città rimane meno di quanto il Comune ha speso nell’anno precedente per fare le stesse cose, tutte essenziali.

Non sanno che la Tarsu è aumentata per una legge nazionale che ci ha imposto la totale copertura del costo del servizio con la sola tassa senza poter fare riferimento alle entrate ordinarie!

Non sanno neanche che le stime del Governo in materia di entrate IMU sono probabilmente sbagliate (le chiedo chiarimenti in merito) e che per compensare questo buco inaspettato si sta pensando di tagliare ancora i trasferimenti ai Comuni. Nel nostro caso al taglio di 36milioni rispetto allo scorso anno si aggiungerebbe quello di dieci milioni per la manovra correttiva.

Non comprendono i cittadini perché le loro imposte comunali, quelle sul reddito e l’Iva aumentino, mentre nessuno tocca i grandi patrimoni e le rendite finanziarie in violazione del principio costituzionale di progressività!

Ai Comuni italiani è stato assegnato il compito di gabellieri dello Stato, ma va spiegato che siamo stati costretti ad aumentare la pressione fiscale e le tariffe per contribuire al risanamento dei conti pubblici. Pur non condividendo alcune scelte governative, abbiamo svolto tutti i compiti assegnati: Bari si attesta al 6° posto in Italia per solidità di Bilancio ed è al 4° posto per l’equilibrio di parte corrente. Abbiamo tagliato la spesa corrente, azzerato le auto blu e rispettato i limiti alla spesa del personale sebbene siamo sotto organico.

Abbiamo un avanzo di amministrazione di 136 milioni di euro che però non possiamo utilizzare per le regole del patto di stabilità.

Eppure la rabbia dei cittadini per l’aumento delle imposte e delle tariffe si riversa unicamente sui Comuni e sui sindaci.

Serve una Sua parola di sostegno su queste misure che ricadono pesantemente sulla vita delle persone, Presidente, perché noi Sindaci ogni giorno dobbiamo varcare la soglia del portone del Comune e corriamo il rischio che qualche irresponsabile, caricato dalle parole di oppositori “a prescindere”, decida che la colpa delle sua sofferenza sia, in realtà, delle uniche figure politiche che invece lo hanno sempre ascoltato e assistito, mettendoci la faccia e qualche volta rimettendoci la vita.

Per questa ragione intendo dedicare questo mio intervento alla memoria di Giovanni Carnicella,  sindaco di Molfetta, venti anni fa ucciso a fucilate sulle scale del suo Comune da un esaltato. Egli pagò con la vita il coraggio e la responsabilità di essere il sindaco della sua bellissima Città.

Come vede Presidente, noi siamo qui e non faremo un solo passo indietro nella difesa della nostra Storia, del benessere dei cittadini, nella lotta per assegnare un futuro migliore a chi verrà dopo di noi. Lo faremo sostenendo in ogni modo la scuola e l’Università pubblica, consapevoli che dobbiamo studiare molto di più e meglio degli altri per piegare assurde convinzioni, servendo la Repubblica in tutte le Sue istituzioni - immagini che quasi un terzo delle Forze Armate italiane è composto da pugliesi che hanno per vocazione assunto questa responsabilità - e soprattutto continuando a credere nell’Italia come principale leva di riscatto personale e sociale delle popolazioni del Mezzogiorno. Delle raccomandazioni e dell’intercessione dei santi non facciamo più uso, La rassicuro, desideriamo solo avere pari opportunità ed essere giudicati per quello che possiamo offrire al Paese, per i nostri meriti effettivi. Sarà dura, lo sappiamo, ma ci accorgiamo che l’Italia ha bisogno di noi, del nostro entusiasmo, dei nostri giovani laureati d’eccellenza, delle nostre periferie arrabbiate, nelle quali però la voglia di vivere e di crescere è più forte di ogni sofferenza. Noi siamo e rimarremo meridionali, cocciutamente legati alla nostra terra, alla speranza che il progetto dei nostri padri Costituenti sia stato scritto anche per noi che alla lotta contro i nostri stessi limiti abbiamo offerto il più pesante tributo di sangue. Ricorre quest’anno il ventennale delle stragi che ci hanno portato via uomini e donne meravigliosi che hanno offerto la loro vita all’Italia nel contrasto delle organizzazioni mafiose credendo nella legge e nella integrità dello Stato. Su queste vicende sono in corso indagini importanti che devono servire a spiegare, una volta per tutte, agli italiani del nord, del centro e del sud, che con coloro che praticano la forza di intimidazione per realizzare assoggettamento e omertà non si può trattare sull’osservanza della legge e non si può negoziare come fossero rappresentanti di uno stato sovrano. In molti, purtroppo, sono ancor convinti che con la mafia si debba convivere, qualche volta facendo loro vincere un appalto, altre facendosi consegnare un latitante ormai troppo ingombrante, altre ancora assumendo al proprio servizio significative personalità con l’intento di ottenere maggiore serenità. Devo dirle, questa volta da magistrato che ha purtroppo dovuto assistere a molti funerali di propri colleghi, che con le mafie italiane non si può e non si deve trattare. E questo glielo ribadisco attraverso le parole di un meridionale del quale l’Italia intera è orgogliosa:

“la lotta alla mafia - disse Borsellino nel suo ultimo discorso pubblico - (primo problema da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata) non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti abituasse a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si contrappone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.”







 

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