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Omicidio Dambrosio, il boss "andava eliminato". Una guerra per il controllo della Murgia

Il gup del Tribunale di Bari ha confermato la sentenza dello scorso giugno: omicidio volontario premeditato. Secondo il giudice si trattò di una vera e propria esecuzione, pianificata con cura da anni

Niente è stato lasciato al caso.  Così il gup del Tribunale di Bari Antonio Diella ha confermato, nei giorni scorsi, la premeditazione nell’esecuzione orchestrata per il boss mafioso Bartolomeo Dambrosio morto durante un agguato il 6 settembre 2010.  E conferma anche la condanna per i tre presunti killer.

Il gup già lo scorso giugno, dopo un processo con rito abbreviato, aveva condannato con l’accusa di omicidio volontario premeditato il 23enne Francesco Palmieri e il 26enne Michele Loiudice a 20 anni di reclusione;  Francesco Maino di 25 anni a una pena di 12 anni e 8 mesi. Fu assolto invece il quarto imputato Rocco Ciccimarra, 23 anni, accusato di aver custodito le armi che sarebbero state utilizzate per eliminare il boss.

In una sentenza lunga 112 pagine, vengono spiegate le diverse motivazioni che contribuirono a maturare tale decisione nel clan di Giovanni Loiudice, il concorrente di Bartolomeo Dambrosio nonchè mandante dell'omicidio: conti in sospeso, supremazia sul territorio nel traffico di stupefacenti , vecchi omicidi attribuiti dal primo al secondo. Quella mattina i nemici del boss utilizzarono un fucile semiautomatico, una Skorpion, una pistola e una rivoltella; su 34 proiettili, dieci andarono a segno compreso il colpo mortale alla nuca.

La vittima secondo il giudice, aveva tentato per due volte di uccidere Loiudice che aveva “dominato per 7 anni”.  Il delitto, pertanto, è stato progettato nel corso di diversi anni per vendicare questi attentati e per conquistare il predominio sulla Murgia.
 

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