rotate-mobile
Lunedì, 29 Aprile 2024
Attualità

"Noi tra le Famiglie senza confini, abbiamo accolto un ragazzo della Nigeria: un'esperienza di crescita"

Il racconto di Rosalina Ammaturo e Gianpaolo Petrucci, insegnanti in pensione e nonni, tra i primi ad aderire al progetto del Comune di Bari. Altre 25 famiglie hanno aderito al nuovo avviso

Rosalina Ammaturo è pronta a riprovare l’esperienza. “Non bisogna pensare che sia tutto rose e fiori, è come con i nostri figli, dobbiamo confrontarci col loro carattere e andare oltre rimostranze e atteggiamenti che non condividiamo, ed è bellissimo farlo”. Assieme al marito Gianpaolo Petrucci ha accolto per otto mesi nel 2019 Willy,  nome di fantasia, un ragazzo di 17 anni sbarcato a Lampedusa dopo un lungo e tormentato viaggio dalla Nigeria quando ne aveva 14. Lei e il marito, 64 e 65 anni, ex insegnanti in pensione, son stati tra i primi ad aderire al progetto Famigliesenzaconfini del Comune di Bari che ha visto 25 tra singoli e coppie, ospitare e seguire nelle loro case minori italiani e migranti non accompagnati. In questi giorni è partito il nuovo avviso che ha visto altre 25 famiglie aderire e per le quali è partito per loro il percorso di formazione e accompagnamento socio psico pedagogico e giuridico e i colloqui con i minori in comunità che vorranno intraprendere l'esperienza in famiglia.

“Un giorno – spiega Ammaturo – ci ha raccontato cose dolorose del viaggio e della fermata in Libia. Eravamo sul lungomare di San Girolamo, davanti al monumento in ricordo della Vlora, Siamo persone. Gli spiegammo cosa significasse e nonostante la sua riservatezza iniziò a raccontare di essere stato chiuso in una stanza senza finestre, ammassati senza possibilità di stendersi, della traversata del deserto con più di 40 persone attaccate alla camionetta, delle quattro che vide cadere e rimanere lì, lasciate morire, e del gommone per Lampedusa, dove ne vide altre due morire, dopo che erano stati stipati in 90 con le  gambe aperte come un trenino in modo che potessero incrociare le gambe degli altri ed entrare più persone possibili. Deve essere stata un’esperienza durissima per un ragazzo di 14 anni, che ha lasciato la madre vedova nel suo villaggio”.

Willy ancora oggi, che di anni ne ha 19, è seguito dal programma di protezione per i minori non accompagnati dalla comunità Don Gallo di Carbonara. Lavora, lo ha fatto al McDonald’s e altri ristoranti, eppure gli sarebbe piaciuto studiare. “Lo accompagnammo nel percorso che lo portò dopo aver completato la scuola media a iscriversi al primo anno  dell’istituto alberghiero. Gli piaceva studiare. Era bravo e sveglio, si esprime molto bene in italiano. Ma alla fine ha prevalso l’esigenza di lavorare e inviare denaro alla madre in Nigeria, sola col fratellino più piccolo, dopo la morte del padre. Ora vive in un appartamento con altri ragazzi, fa rap, e continua a voler frequentare più i ragazzi italiani, perché voleva sentirsi come loro”. Willy è anche un ragazzo introverso, che ha fatto prevalere la sua voglia di autonomia nei mesi trascorsi con la coppia originaria di Brindisi già  impegnata nel sociale con la scuola per migranti Penny Wirton nel rione San Cataldo, che ha anche figli e nipoti.

“Veniva a casa a cenare e a pranzare, poche volte è rimasto a dormire, voleva tornare sempre nel centro Don Gallo da solo, in bus. Abbiamo cercato di fargli fare delle esperienze, escursioni, gite con altri ragazzi a Matera, la conoscenza della nostra famiglia allargata, dei nostri genitori a Brindisi. Ci è capitato di accogliere altre volte studenti, anche minori, come quelli della comunità 16 agosto del Redentore, studenti che provavano a imparare l’italiano, e sapevamo che non era tutto semplice. È stata sempre una bella esperienza. Sappiamo che bisogna essere in ascolto e rispettosi dei tempi di questi ragazzi e di ciò che si portano dentro, se capitava che raccontassero le loro esperienze è un conto, altrimenti non domandavamo. E così è stato con Willy, che parlava poco e ascoltava, bisognava rispettare i suoi tempi e la sua riservatezza, credo per il dolore vissuto. La cosa che si impara da questa esperienza – prosegue - è che noi offriamo accoglienza, ma non dobbiamo cercare di avere gratificazioni immediate e grandi riconoscimenti”.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

"Noi tra le Famiglie senza confini, abbiamo accolto un ragazzo della Nigeria: un'esperienza di crescita"

BariToday è in caricamento