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Lunedì, 29 Aprile 2024
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"Col Covid teatri chiusi e centri commerciali aperti, una follia". L'allarme di Lanera: "A Bari le compagnie muoiono"

"Abbiamo perso 60 date - racconta l'attrice premio Ubu 2014 - e non possiamo più pagare uno spazio per lavorare: si impediscono gli spettacoli in sicurezza ma gli ipermercati sono pieni"

“Da aprile non avremo più lo spazio per i nostri laboratori, non siamo in grado di pagare l’affitto e far fronte alle spese”.

Licia Lanera è rinchiusa dal 20 dicembre nel Teatro Bellini di Napoli. Ci vive giorno e notte. Premio Ubu e Duse (2014), assieme ad altri cinque colleghi, attori e registi, lavora a uno spettacolo che ha come termine per la costruzione la fine del blocco delle attività artistiche aperte al pubblico. Con la sua compagnia di Bari, che dallo scioglimento di Fibre parallele ha acquisito il suo nome, si trova in difficoltà economiche a causa della crisi innescata dalla pandemia. E l’esigenza di avere spazi, come aveva sottolineato l’assessora comunale alla Cultura Ines Pierucci a Bari Today diventa urgente, immediata.

È così?

“Pagare affitti e utenze è diventato insostenibile per noi come per tante altre compagnie teatrali e realtà che lavorano e vivono nel campo della cultura, dalla danza alla musica. Quello di trovare spazi convenzionati, se pur condivisi, è un primo passo necessario”.

Quale dovrebbe essere il secondo?

“In realtà si tratta del primo, l’essenziale: riaprire i teatri subito. Gli spettacoli sono il nostro pane, come lo sono per il pubblico che li segue. Sono un’esigenza primaria. La questione dei contagi a mio avviso non regge, si registrano ancora numeri consistenti mentre tutto il nostro mondo è fermo. I centri commerciali aperti e pieni di gente e i teatri chiusi sono un’offesa per tutti”.

Crede che ci siano le condizioni per riaprirli?

“Certo. Faccio un esempio. Qui al Bellini, con una capienza di mille posti, sono state persino sradicate le poltrone della platea per mettere sedie tipo regista e garantire le distanze, riducendola a 200 posti. Nel breve periodo di riapertura si accedeva con mascherine, igienizzazione delle mani, riferimenti agli ingressi e misurazione della febbre. Nei centri commerciali pieni di gente prima di Natale, incentivati dallo Stato con l’app cash bank, dove tutti promiscui toccano vestiti e cose, questo non avviene. È una follia”.

Quali sono le vostre difficoltà materiali?

“Abbiamo avuto le attività bloccate dal 6 marzo al 15 giugno dello scorso anno. Poi dalla seconda metà di ottobre. Abbiamo perso tutte le risorse garantite dai nostri laboratori, quelli di Bari e Gioia del Colle, ma soprattutto 60 date delle torunée in programma. A cominciare da Guarda come nevica. Abbiamo cinque persone stipendiate, due organizzatori e tre artisti. Un furgone, che ora abbiamo fermo e stiamo pensando di vendere. Maestranze pagate regolarmente per ogni spettacolo allestito. Utenze. Così non ce la facciamo. Per questo diciamo: ‘Dateci uno spazio, operiamo da 15 anni sul territorio, risparmiateci il dover prendere in fitto l’ennesimo locale in strada”.

I contributi pubblici non bastano a sopravvivere?

“La nostra è un’impresa culturale riconosciuta dal ministero, ma se non lavoriamo non prendiamo soldi e i contributi servono solo alla sussistenza. Anche quello della Regione è piuttosto basso e ci sono pagamenti arretrati. Speriamo che col nuovo assessore alla Cultura Massimo Bray le cose cambino”.

C’è da considerare la difficoltà anche nella preparazione di uno spettacolo, interrotta e ripresa a distanza di mesi.

“Rifare, riallestire un repertorio e spettacoli come quello del Gabbiano, ad esempio, dopo un anno e mezzo, con attori fuori Bari, recuperare l'energia del lavoro e il dispendio di economia notevole, con la necessità di un teatro, di luci, di compensi per gli attori, diventa un delirio. A Bari ci sono difficoltà con i calendari che cambiano in continuazione, ma allo stesso tempo su scala nazionale. Le compagnie stano impazzendo. In tanti rischiamo davvero la chiusura, recuperare un'intera stagione, o lavorare a regime ridotto per altri due anni, potrebbe essere deleterio”.

Una crisi del genere rischia di schiacciare i nuovi talenti, impedire che nascano nuove Licia Lanera?

“Ricordo la mia piena libertà quando ho iniziato, l’essere sgombra da pensieri e responsabilità che oggi invece mi pesano perché a capo di un’intera compagnia. Questo può giovare ai più giovani, a chi inizia, ma è vero anche che l’impossibilità di fare spettacoli può davvero precluderne la crescita e la carriera. I grandi dovrebbero aiutare i più piccoli, a cominciare dalla creazione di una vera e propria scuola di teatro che fornisca gli strumenti per crescere. Non escludo che in una situazione simile Licia Lanera sarebbe stata costretta ad abbandonare e cambiare mestiere”.

Il mancato riconoscimento di Bari a capitale italiana della cultura in questo senso è una brutta notizia?

“Non lo so. Probabilmente avrebbe aiutato molti artisti, ma credo che il problema per il nostro mondo sia più complesso. C’è bisogno di massima attenzione e programmazione. Per il resto, stando qui, ho avuto a che fare con operatori culturali che hanno contribuito alla vittoria di Procida: hanno fatto un lavoro lungo nel tempo ed enorme qualitativamente, meritava di essere premiato”.

Dopo la delusione e la conferma di alcuni progetti culturali, Pierucci ha auspicato una visione comune a partire dai Teatri di Bari, che presto potranno contare anche sul Kursaal. È ciò che serve?

“Mi auguro che ci sia la collaborazione di tutta la città, troppo spesso preda di lotte intestine che non portano certo giovamento. Auspico a Bari di affacciarsi con lo sguardo fuori e non essere solo benevola con se stessa, quindi ragionare su un rapporto di collaborazione che possa essere di esempio per l'Italia. Oltre ai luoghi e alla loro condivisione c’è bisogno di spazi in cui la gente parli e fruisca di cose importanti, come il teatro, al musica e la cultura in genere, con un pensiero più largo e uno sguardo più lontano”.

Cose insomma diventi una capitale culturale?

“Bari e la Puglia dovrebbero essere un riferimento culturale reale per il Mezzogiorno e l’intero paese, perché hanno potenzialità enormi, Bari soprattutto. Ma è necessario superare le divisioni perciò mi auguro un ricambio generazionale: largo ai giovani”.

(Foto: Andrea Macchia)

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