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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Comprendere il rischio genetico e clinico della schizofrenia: studio innovativo di Uniba in collaborazione con ricercatori Usa

I risultati evidenziano "misure cerebrali che potrebbero essere utilizzate per migliorare la diagnosi precoce e le strategie di intervento"

Una possibile svolta nella comprensione del rischio genetico e clinico per la schizofrenia nel contesto di come le regioni cerebrali comunicano tra loro: è quanto emerge da uno studio internazionale che vede coinvolti ricercatori dell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro, del Lieber Institute of Brain Development (Baltimora, Maryland, Usa) e del Tri-institutional Center for Translational Research in Neuroimaging and Data Science (Atlanta, Georgia, Usa).

Analizzando i dati di 9.236 individui in diverse fasce di età, dall'infanzia all'età adulta, disponibili presso l'Università degli Studi di Bari Aldo Moro, il Lieber Institute of Brain Development e provenienti da banche dati pubbliche tra cui UK Biobank, l'Adolescent Brain Cognitive Development Study e la Philadelphia Neurodevelopmental Cohort, lo studio ha rivelato che le alterazioni delle connessioni cerebrali prefrontali-sensomotorie e cerebellari-occipitoparietali caratterizzano i giovani fratelli di pazienti con schizofrenia e sono legate al rischio genetico per il disturbo. Queste alterazioni sono state osservate anche in pazienti con schizofrenia e in individui che presentano sintomi psicotici sottosoglia, suggerendo una convergenza tra fattori di rischio genetici e clinici. In particolare, queste alterazioni erano evidenti durante la tarda adolescenza o la prima età adulta, in prossimità dell'età tipica di insorgenza della schizofrenia, e non prima o dopo questa fascia di età. Questo risultato evidenzia l'importanza di un approccio orientato all'età nello studio della schizofrenia e dell’utilizzo di più scansioni per ciascun partecipante per identificare le reti cerebrali legate al rischio e le potenziali associazioni genetiche.

I ricercatori hanno utilizzato acquisizioni multiple di risonanza magnetica funzionale (fMRI) dagli stessi partecipanti per rilevare i cambiamenti legati all'età nelle stime di connettività cerebrale funzionale. Quindi, i ricercatori hanno ipotizzato che questi cambiamenti fossero associati al rischio di schizofrenia. Esiste una
componente genetica significativa nel rischio di schizofrenia, che può essere utilizzata per indicizzare il rischio individuale. Un approccio più orientato alla clinica, invece, identifica gli individui con sintomi che, pur non soddisfacendo i criteri per la diagnosi, possono precedere l'insorgenza della patologia.

I risultati dello studio, spiega Uniba in una nota "evidenziano misure cerebrali che potrebbero essere utilizzate per migliorare la diagnosi precoce e le strategie di intervento. Offrono inoltre potenziali biomarcatori che potrebbero essere utilizzati per indagare il ruolo di geni e vie molecolari specifiche nello sviluppo della schizofrenia, in vista dell'identificazione di nuovi bersagli farmacologici. Con ulteriori ricerche e sviluppi, i modelli di neuroimmagine funzionale associati al rischio hanno il potenziale per migliorare la nostra comprensione del disturbo e l'impatto sulla vita degli individui a rischio" conclude Uniba.

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