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Sabato, 27 Aprile 2024
Economia

Licenziato dall'azienda e reintegrato dai giudici, Michele Glorioso torna in fabbrica: "La mia rinascita"

L'operaio barese della Skf racconta il suo rientro al lavoro, dopo una lunga battaglia durata più di due anni: "Un ritorno alla vita e alla dignità". Anche se la sua vicenda giudiziaria potrebbe non ancora essere finita

“È stato come il primo giorno e ne vado fiero”. Quasi a passo di marcia, assieme allo striscione portato avanti dal Comitato che lo ha sostenuto fin dal principio della sua battaglia e accompagnato dal grido: “La lotta paga”. Michele Glorioso è tornato in fabbrica, ha varcato i cancelli della Skf la mattina di lunedì 17 ottobre: turno dalle 8 alle 16. E lo ha fatto dopo una lunga, faticosa e forse non ancora terminata del tutto, vicenda giudiziaria, contro un licenziamento giudicato nelle aule della sezione Lavoro delle Tribunale di Bari: ingiusto. Almeno nei primi due gradi di giudizio del suo ricorso. Quella era stata per anni la sua fabbrica, vissuta fin dal 2007 lungo la catena di montaggio dei cuscinetti per auto, confezionati dallo stabilimento della zona industriale barese della multinazionale svedese. Un rapporto che si era interrotto bruscamente perché l'azienda aveva contestato a lui e a un collega la fuoriuscita di prodotti difettosi che avrebbero causato la perdita di un'importante commessa. E ora per l'operaio barese la Skf torna ad essere nuovamente la sua fabbrica, dopo la decisione dei giudici di reintegrarlo. Per il momento non lo è in produzione, sulla catena di montaggio, dove aveva lasciato, ma nel reparto confezionamento dei prodotti.

“Mi ha accolto il capo del personale in maniera cordiale – racconta ancora del suo primo giorno del ritorno - ho svolto le visite mediche di prassi e rivisto molti colleghi. Tanti mi hanno abbracciato, altri hanno avuto timore di farlo e me lo hanno anche confessato. È una cosa che mi rattrista molto, ma so che i 'Bentornato' sono prevalsi, come gli abbracci forti, senza alcuna parola, di quelli che ti dicono tutto. Per il resto non ho indugiato nei saluti, ho voluto subito ricominciare a lavorare, perché era ed è questo il mio obiettivo. A testa alta”.

La stessa che ha avuto assieme alla famiglia in questi anni da disoccupato in cerca di giustizia e che ha avuto anche lunedì sera al ritorno a casa. “Mia figlia Clara ha sei anni ed è stata sempre messa da me e mia moglie Marina al corrente di ciò che ci stava succedendo, della vita che stava cambiando, del papà che non aveva più un lavoro e uno stipendio e dei passi indietro che dovevamo fare. Al mio ritorno lunedì mi ha atteso sulla porta e mi ha chiesto subito 'Come è andata?!'. Ci siamo abbracciati e abbiamo sorriso, lo si vede dal mio volto come è andata, quale sia la mia felicità”.

Una felicità però condizionata, spiega ancora Glorioso, perché da ciò che trapela dai vertici dell'azienda e dai sindacati, è possibili che si debba ancora battagliare in appello.

“Non ne ho conferma – spiega – ma pare sia così. Io attendo e nel frattempo mi rimetto in marcia, mi godo questa rinascita, il ritorno alla vita e alla dignità, quella che mi era stata tolta e che i giudici finora hanno riconosciuto assieme alla mia innocenza, così come hanno fatto tutte le persone che mi hanno sostenuto finora, a cominciare da quelle sempre presenti nel Comitato contro i licenziamenti”.

Glorioso ribadisce che quello contro di lui rischia diventare un accanimento per qualcosa che non ha fatto. Quel giorno, quando ci furono problemi sulla linea di montaggio, da operaio giovane ma allo stesso tempo esperto, agì secondo le procedure, come ha riconosciuto lo stesso tribunale.

“Così è anche brutto – aggiunge – perché è come avere un carico pendente sulla testa, mentre a casa ho il carico pendente della famiglia da portare avanti. In una grande azienda capisco che non ci sia spazio per i sentimenti e l'aspetto umano ma allo stesso tempo ritengo assurdo questo accanimento nei miei confronti. Io rimarrò coerente come lo sono stato fin dall'inizio e continuerò a lottare per il mio lavoro”. Una lotta che vedrà al suo fianco sempre il comitato Contro i Licenziamenti, che ritiene la vicenda di Glorioso anche simbolica, in grado di dare coraggio ad altri lavoratori, e “questa sentenza capace di dire chiaramente che è possibile ribaltare la logica del Jobs Act, che possono essere contestate tutte le minacce di provvedimenti disciplinari fino al licenziamento, condizione che riguarda migliaia di lavoratrici e lavoratori”.
 

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