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"Non ce la facciamo più:" il Covid mette in ginocchio il Demodé, dopo 22 anni il club di Modugno rischia di scomparire

Il racconto di Dario Boriglione, creatore e gestore del locale punto di riferimento del barese per l'offerta musicale di qualità: "I 28 mesi di chiusura ci hanno azzerato, col Green Pass club e discoteche all'aperto potevano riaprire"

“Il sogno costruito in 22 anni si sta spegnendo, non so se arriveremo fino a dicembre”. Dario Boriglione, 46 anni, è il creatore, nonché gestore e direttore artistico, assieme alla sua compagna, del Demodè. Il club musicale indipendente di Modugno ha rappresentato per più di 20 anni il punto di riferimento per la cultura musicale del territorio. Nel 2012 fu premiato come il migliore in Italia. Gli artisti che si sono esibiti sono centinaia, dagli emergenti ai più affermati della scena rock, indie e pop di qualità italiana e non solo. Le serate dei concerti erano sempre seguite da dj set e discoteca con la migliore musica alternativa ad allietare i circa mille avventori che popolavano il club che, ora, rischia di chiudere e scomparire per sempre.

“Nel 2019 -  racconta Boriglione – avevamo investito per migliorare la struttura e renderla ancora più sicura, con l’allargamento dei canali di scolo e delle porte di ingresso e uscita, ad esempio. Ma l’effetto di quei lavori non l’abbiamo mai potuto vedere se non per i debiti che abbiamo nei confronti dei nostri fornitori, solo in parte congelati. È arrivata la pandemia Covid e per noi è stato il disastro. Siamo oramai chiusi da 28 mesi e non abbiamo più la forza di andare avanti”.

L’ultimo concerto risale al 28 febbraio 2020, a porte chiuse. Poi la struttura si è fermata in anticipo rispetto ai tempi imposti dal governo per le misure anti Covid. “Volevamo preservare al massimo i nostri clienti -  spiega Boriglione – perché con loro c’è un vero e proprio rapporto di fiducia oltre che di condivisione della cultura musicale. In tutti questi mesi i costi delle utenze, dei fitti del locale e del parcheggio sono proseguiti, mentre siamo riusciti a organizzare solo qualche serata l’estate scorso nella zona di Gallipoli col marchio Demodè. Questo ha prodotto perdite di centinaia di migliaia di euro che non sappiamo davvero in questo momento come recuperare. Questa estate, nonostante i vaccini e il calo dei contagi, non ci è stato permesso di lavorare. L’ultima manifestazione a Roma dei gestori del settore non ha portato ad alcun risultato. La nostra società è oramai azzerata, da oltre 50 persone impiegate al nulla. Anche se dovessimo ricominciare adesso, sarebbe tutto da ricostruire”.

Boriglione parla di miopia da parte dei governi, della scarsa comprensione del problema, di locali che chiudono perché indebitati sui quali piombano imprenditori poco trasparenti, “speculatori”. “In due anni – racconta ancora – abbiamo dovuto far fronte a oltre 100 mila euro di soli fitti. Avevo dato la disponibilità del locale per l’hub vaccinale, al costo del fitto, per farci respirare un po’. Avevamo proposto di organizzare eventi culturali pubblici sfruttando la struttura o portare nelle scuole la cultura musicale, ma nulla di tutto ciò si è potuto realizzare”. Boriglione aggiunge anche la sua sul Green pass: “Abbiamo chiesto alle istituzioni di venirci incontro, almeno nel mese di agosto, di darci un modo per abbattere queste spese, ma nulla è accaduto e ora siamo al collasso. Sono vaccinato e a favore del Green pass, potrebbe essere una soluzione per farci riaprire. Trovo infatti paradossale e assurdo che ciò sia accaduto invece lo scorso anno senza che fossimo protetti dai vaccini”.

Il gestore del Demodè, affranto, descrive una situazione complessa, anche dal punto di vista personale.  “In questi mesi ho scoperto anche di essere affetto da una malattia autoimmune, che mi ha complicato la vita. Ma amo il mio lavoro e stringerò i denti fino alla morte per cercare di tenere in vita una creatura che ho costruito letteralmente a mani nude, assieme a quelle di mio cognato, muro per muro, perché non c’erano economie diverse per un ragazzo che veniva da un quartiere popolare di Bari e voleva condividere la cultura musicale che amava, costruendo un sogno e un luogo che prima non c’era, fuori moda, Demodè, appunto. Ma questo sogno – conclude - dico che è il cuore che batte a 120 bpm di un essere vivente, un cuore che deve continuare a vivere”.

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