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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Schizofrenia e differenze di genere nei meccanismi dei sintomi cognitivi: studiosi Uniba nel team di ricerca

Lo studio interdisciplinare, condotto a livello nazionale e pubblicato sulla prestigiosa rivista 'Molecular Psychiatry' ha coinvolto anche ricercatori dell'Università di Bari: "Risultati offrono prospettiva di terapie personalizzate"

Ci sono anche studiosi dell'Università di Bari tra gli autori della ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale "Molecular Psychiatry” del gruppo Nature, che ha individuato una relazione tra differenza di sesso e meccanismi genetici associati ai sintomi cognitivi nella schizofrenia.

In particolare, i ricercatori dell’Università di Catania, dell’Università di Bari Aldo Moro e dell’Università di Padova hanno riportato una scoperta sul ruolo del sesso sui meccanismi molecolari della schizofrenia, contribuendo a chiarire la variabilità tra maschio e femmina nell’insorgenza dei sintomi cognitivi di questa malattia. Tali sintomi sono presenti in più dell’80% dei pazienti e rappresentano uno dei principali problemi nella vita quotidiana del paziente con schizofrenia, causando una disabilità lavorativa e funzionale. I sintomi cognitivi persistono anche durante la remissione
della malattia e rispondono poco o nulla agli attuali trattamenti farmacologici.

I ricercatori hanno evidenziato che l’interazione tra due geni (DTNBP1* e COMT*), implicati nel controllo delle funzioni cognitive e coinvolti nei processi fisiopatologici della schizofrenia, dipende dal sesso del paziente. Tale risultato suggerisce la possibilità di terapie personalizzate per i sintomi cognitivi della schizofrenia differenti per maschi e femmine in base al proprio profilo genetico.

Lo studio, condotto da Federica Geraci, dell’Università di Catania, e Roberta Passiatore, dell’Università di Bari, è stato coordinato da Gian Marco Leggio, professore associato di Farmacologia, nel gruppo diretto dal Prof. Filippo Drago, presso l’Università di Catania, da Giulio Pergola, professore associato di Psicobiologia e Psicologia Fisiologica
presso l’Università di Bari e John Hopkins University di Baltimora (USA) e da Fabio Sambataro, professore associato di Psichiatria dell’Università di Padova. Il Ministero dell’Università e della Ricerca ha supportato lo studio attraverso un finanziamento ai progetti di ricerca scientifica di rilevante interesse nazionale.

“Comprendere come le differenze tra maschi e femmine possano intervenire nell’interazione tra componente genetica e sintomi cognitivi della schizofrenia – dichiara Gian Marco Leggio - è il primo passo per sviluppare terapie mirate e differenti per uomini e donne. Il team ha riprodotto condizioni genetiche simili a quelle presenti nei pazienti con schizofrenia in un modello animale geneticamente modificato, riuscendo così a ricostruire e descrivere i meccanismi molecolari e funzionali attraverso cui i due geni DTNBP1 e COMT interagiscono tra loro modulando le funzioni cognitive nei maschi e nelle femmine.

“L’approccio traslazionale del nostro studio – prosegue Fabio Sambataro – ha permesso di comprendere dei meccanismi molecolari complessi che molto difficilmente si riescono ad evidenziare utilizzando un approccio prevalentemente clinico. Grazie all’uso di un database di cervelli postmortem del Lieber Institute for Brain Development nel campus Johns Hopkins (USA), lo studio ha dimostrato che l’espressione del gene DTNBP1 varia in base al sesso e all’età del paziente, il che si traduce nella modifica della funzione della proteina corrispondente.

In ultimo, il team ha studiato, tramite risonanza magnetica funzionale negli esseri umani, come la funzionalità della corteccia prefrontale dorso laterale, responsabile delle funzioni cognitive alterate in schizofrenia, possa essere modulata da DTNBP1 e COMT in modo diverso nei maschi e nelle femmine.

“Gli studi più recenti suggeriscono che la predisposizione genetica alla schizofrenia passa attraverso fenomeni molecolari diversi in diversi sottotipi di pazienti. Chiarire tali fenomeni permetterà in futuro lo sviluppo di terapie sempre più precise e personalizzate per ciascun paziente – conclude Giulio Pergola.


 

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