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Venti anni dal primo trapianto di cuore al Policlinico, la figlia dell'uomo operato: "Un evento, il suo desiderio fu andare a pesca di ricci"

Dopo il ricordo della struttura ospedaliera universitaria quello della famiglia del 56enne vissuto altri sette anni grazie a quell'intervento eccezionale eseguito dall'equipe del professor Tupputi

Angela Longo quel giorno non lo dimenticherà mai. “A mezzanotte eravamo con mio fratello Nicola e mia madre Vita nell’androne all’ingresso della sala operatoria, avevamo appena visto mio padre entrarci, accompagnato da medici e infermieri. Cominciarono ore di emozioni contrastanti, tra paura, speranze e orgoglio. Poi fu un viavai continuo su e giù per le scale della struttura, arrivavano camici bianchi da tutti i reparti, da tutte le cliniche, per assistere all’evento eccezionale”. Alle tre e mezza del mattino del 2 febbraio 2002 il responso dell’equipe del chirurgo Luigi De Luca Tupputi, allora direttore dell’Unità operativa di  cardiochirurgia universitaria: “L’operazione è tecnicamente riuscita”. A ricevere sotto i ferri il nuovo organo era stato Oronzo Longo, quasi 56enne, barese maresciallo dell’esercito. A distanza di 20 anni, la figlia, col sorriso, racconta quell’avvenimento, che il Policlinico ha voluto ricordare con un post su Instagram.

“Mio padre era in lista di attesa sia a Bari che a Padova da dieci anni, perché soffriva di una grave forma di miocardiopatia dilatativa, malattia congenita, con la quale aveva convissuto, fino a quel momento, accedendo anche a terapie sperimentali. La mattina precedente era andato al Policlinico per un controllo, ne faceva di continuo, ogni tre mesi. Non stava bene, purtroppo. Quel giorno però cambiò tutto”.

Cosa accadde in quelle ore?

“Chiamarono a casa dal Policlinico, il suo cardiologo, Giuseppe Capone, avvertì che c’era un cuore disponibile per il trapianto, apparteneva a un 40enne di Taranto. Fu il primo momento di gioia, seguito da tensione e anche fierezza per essere protagonisti di quell’evento. Mio padre fu sottoposto da mezzogiorno agli esami preparativi, a mezzanotte entrò in sala operatoria. Fu la nostra notte magica”.

Ricorda cosa disse suo padre al termine dell’intervento?

“Io riuscii a vederlo solo dopo un paio di giorni, completamente bardata. Era attaccato alle macchine e ci rimase per una ventina di giorni, prima di essere trasferito nel reparto. Mi disse 'E tu che ci fai qui’. Ai medici invece espresse il suo primo desiderio”.

Immaginiamo fosse quello di riabbracciare la famiglia, la moglie e i figli.

“No, per nulla. Era quello di andare a pesca di ricci, era la sua passione. Amava il mare e la libertà”.

E riuscì a esaudirlo?

“Certo, appena gli era possibile andava a pesca. Se ne tolse di soddisfazioni, eccome”.

Ricorda che altro vi dissero i medici?

“Che il suo cuore stava peggio di quanto pensassero, una volta aperto si resero conto che non avrebbe avuto più di tre mesi di vita”.

E invece quanto riuscì a vivere suo padre?

“Più di sette anni e se li è goduti tutti. Era come rinato, anzi, lui diceva proprio che quel giorno era come nato la seconda volta. Ogni 2 febbraio lo festeggiava come e forse più del compleanno ad aprile. Morì poi per delle complicanze dovute a una polmonite. Furono sette anni bellissimi, dove si tolse enormi soddisfazioni, vide i figli sposarsi, io all’epoca dell’operazione avevo 20 anni, la nascita della prima nipote”.

L’operazione di suo padre fu un avvenimento di cui si parlò tanto in quei giorni.

“Sì, ci furono servizi Tv e anche l’articolo della Gazzetta del Mezzogiorno. Mio nonno, che era scettico sull’intervento, temendo fosse una sperimentazione, ne andava orgoglioso, lo portava con sé. Dopo un paio di giorni in farmacia ascoltò persone che commentavano l’evento e intervenne dicendo orgoglioso ‘È mio figlio”.

Suo padre come ringraziò i medici che lo curarono?

“Tutta la famiglia dedicò una targa al dottor Tupputi e alla sua equipe, è ancora lì, al Policlinico”.

Dal Policlinico i medici sottolineano come le donazioni di organi siano ancora troppo poche. La sua famiglia è diventata donatrice?

“Sì, lo abbiamo scritto sulla carta d’identità. Bisogna sensibilizzare le persone, si deve immaginare che a mio padre è stata data la possibilità di vivere ancora delle emozioni enormi con la sua famiglia, la nascita di una nipote, lo stare assieme nei momenti di festa. Ben vengano le donazioni, anche degli altri organi, per regalare la vita ad altre vite”.

(In foto: Oronzo Longo)

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