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Domenica, 28 Aprile 2024
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"Ero morto, mi ha salvato la tenacia dei medici e l'Ecmo del Policlinico": il racconto dell'infermiere in coma col Covid

Gianni Pizzarelli, 58 anni, è stato quasi due mesi in terapia intensiva, dopo aver contratto il virus al lavoro, nell'ospedale di Putignano: "Senza la tecnica del polmone artificiale non sarei qui, vivo, ho perso 34 chili, ma sono felice"

Gianni Pizzarelli lo ripete con un sorriso. “Ero morto, la tenacia di medici e infermieri mi ha tenuto in vita, li ringrazierò per sempre”. A 58 anni, 40 passati nelle corsie degli ospedali, l’infermiere di Putignano si è salvato dal Covid dopo due mesi di ricovero e una cartella clinica che indicava condizioni gravissime. È tra i 31 casi di malati da Covid-19 trattati dal Policlinico di Bari con la tecnica Ecmo e il polmone artificiale. Positivo dal 9 dicembre è stato dimesso solo a marzo, dopo quasi due mesi trascorsi in terapia intensiva.

Ci racconti cosa ha vissuto.

“Dal momento in cui sono stato intubato fino al trasferimento dal Policlinico all’ospedale di Castellana non ricordo nulla. Ed è un dispiacere, perché non saprei neanche riconoscere medici e colleghi bardati tutto il giorno, impegnati per salvarmi la vita. Vorrei ringraziarli uno ad uno. Sedato non mi sono reso conto più di niente, ricordo solo che, attorno al 13 dicembre, dopo tre giorni di ricovero a Putignano, alle tre del mattino chiamai un collega pregandolo di avvisare la mia famiglia, perché da quel momento mi avrebbero intubato. Di lì in poi c’è stato il trasferimento al Policlinico. Se non fossi stato curato con l’Ecmo e il personale sanitario non fosse stato caparbio, nelle mie condizioni sarei morto, come tanti, purtroppo”.

Il Policlinico spiega che i criteri per l’accesso alla terapia prevedono un’età inferiore ai 60 anni, l’assenza di importanti comorbilità e una grave carenza di ossigeno nel sangue, refrattaria alla ventilazione meccanica. Il suo caso quindi rientrava nei parametri.

“Prima del ricovero del 9 dicembre non avevo mai preso una pillola in vita mia. Ora ne prendo tante, perché il virus mi ha scompensato gli organi, il cuore, l’intestino e il fegato. Faccio fisioterapia tre volte a settimana ma la degenza è ancora lunga, fatico a camminare, mi affatico immediatamente, ho problemi a respirare, tenga presente che avevo tracheotomia e che sono tornato a casa dopo aver perso 34 chili. Ma sono felice di essere ancora vivo”.

Ha contratto il virus al lavoro?

“Sì, sicuramente. L’ospedale di Putignano dal 15 novembre è stato convertito a ospedale Covid. Nel giro di due settimane si è riempito, 82 posti letto più sei di rianimazione. Io ero impegnato al pronto soccorso, lì i pazienti rimanevano fino a tre giorni se non si trovavano posti. Avrò sbagliato la procedura di svestizione o qualche dispositivo di protezione individuale non era adeguato, mi sarò contagiato così e ho poi contagiato mia figlia e mia moglie, per fortuna quasi asintomatiche. Le ho potute riabbracciare dopo tre mesi, tornato a casa che non mi reggevo in piedi”.

Ora come sta?

“Seguirò ancora per lungo tempo la fisioterapia, non è semplice, ma ce la devo fare. Mi ritengo comunque fortunato, se non fossi stato ricoverato al Policlinico non ce l’avrei fatta, non c’era più scambio di ossigeno nei miei polmoni. Conosco queste situazioni, medici e infermieri si potrebbero far prendere dallo sconforto e considerare il paziente destinato a morte certa. E invece, grazie anche all’Ecmo, non è andata per fortuna così”.

Vorrà tornare a lavorare?

“Spero di poterlo fare. Appena mi sarò rimesso del tutto, non vedo l’ora di riabbracciare i miei colleghi e affiancarli nel lavoro che ho sempre amato”.

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